RISCOPRIAMO LE NOSTRE RADICI: I PADRI DELLA CHIESA

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In occasione della contrastata campagna referendaria in vista del 4 dicembrecostituzione italiana-2 avevo scritto che, non foss’altro, tale campagna avrebbe forse permesso di conoscere un tantino di più la nostra Costituzione. E, stando almeno alla mia esperienza, pare che la cosa si sia effettivamente avverata.

Ma non si è andati più in là, nel senso di cercare cosa c’era dietro e prima della nostra legge fondamentale, cosa l’aveva in qualche modo preparata.

Se poi allarghiamo lo sguardo a tutto campo vediamo che il mondo attuale sottolinea ogni giorno, col suo comportamento, l’esistenza di un problema antropologico la cui gravità ha ormai raggiunto un apice storico. Non dico certo cose nuove. E l’ha ancora rilevato recentemente il presidente della CEI, card. Bagnasco. In effetti, per ripetere quanto affermava Benedetto XVI nel 2008, “è sempre più diffusa nel mondo un’atmosfera, una mentalità, una forma di cultura che porta a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita”.

Non è quasi il caso di rilevare che ogni problema, in qualunque campo, si affronterebbe in modo giusto e spesso diverso dal consueto se venisse traguardato con la primaria finalità di proteggere ed aiutare la persona umana, come singolo e come comunità.

Sembrerà strano ma per far ciò più di un’idea potrebbe ancora arrivarci dai… primi cinque secoli dell’era cristiana! E’ infatti quella l’epoca che custodisce l’insegnamento sociale di Gesù, quello degli Apostoli e quello dei Padri della Chiesa, come a dire le preziose radici di quella dottrina sociale che oggi il Magistero ci propone. Conoscere le radici, oltreché la pianta, può in qualche caso servire…

Nelle righe che seguono farò qualche esempio, tratto dall’insegnamento dei Padri (che, ricordo, sono gli scrittori cristiani dei primi secoli dopo Cristo):

La famiglia cristiana e il matrimonio

La famiglia è la prima società di cui si occupano i Padri del IV e V secolo (e cioè i “grandi Padri” della Chiesa). E’ la prima società perché è tale nell’ordine naturale. Essa ha necessariamente origine dal matrimonio. I Padri invitano fortemente a sposarsi tra cristiani, deprecando i matrimoni “misti”, con “pagani” (o, come si direbbe oggi, con non credenti). E ciò per il pericolo che l’ “infedele” metta a repentaglio la fede o intralci la libertà religiosa del fedele.

Scopo primo (anche se non unico) delle nozze è la prole, che deve essere accolta con amore, nutrita con affetto, educata con religione. Nel contempo una posizione netta, sostanzialmente seguita dalla Chiesa sino ad oggi, è poi quella dei Padri sull’ aborto. Mentre infatti per gli antichi non esisteva il diritto alla vita (aborto ed esposizione dei neonati erano ammessi come cose normali dai Greci e dai Romani), tutti i Padri tuonano contro l’aborto, definito un omicidio e un affronto al Dio della vita.

Circa lo scioglimento del matrimonio, S. Agostino (secolo V) afferma che l’uomo può “rimandare” la moglie, e viceversa, solo nei casi di “idolatria” (che include l’estrema avarizia) e di “adulterio”. Ma attenzione: rimandare non vuol dire ripudiare. Si tratta solo di separazione, perché chi Sant_Agostino_2si sposa è sposato per sempre, sino alla morte dell’altro coniuge.

Il lavoro e la proprietà privata

Premesso che nel mondo giudaico-cristiano vigeva un’alta considerazione del lavoro, ben diversa da quella della civiltà pagana e quindi dell’impero romano (dove il civis o cittadino si dava all’ otium, e cioè all’ozio inteso come predilezione per le professioni “liberali”: politica, letteratura, arte militare…e ripudio delle attività manuali), dirò qualcosa di più sulla proprietà privata, anche perché l’argomento impegna la riflessione di numerosi Padri della Chiesa. Se ne occupano infatti S. Basilio, S. Ambrogio, S. Giovanni Crisostomo ed altri.

La posizione più realistica sembra però quella di S. Agostino. “Prima di tutto, dice il Vescovo di Ippona, i beni di questo mondo non sono dell’uomo, ma di Dio, creatore di essi. Gli uomini ne sono usufruttuari o gestori”. In termini diversi lo stesso Vescovo: “La proprietà resta sempre di Dio, che la mette a uso di tutti. Ma, fatto salvo questo uso di tutti, è lecito il possesso particolare”. Può essere interessante rilevare che tale interpretazione è stata tradotta, nelle Costituzioni dei moderni Stati occidentali e in quella italiana (art. 42), nel senso di riconoscere il diritto di proprietà privata, non disgiunto però da una sua “funzione sociale”.

Lo Stato

Anche l’organizzazione politica della società, nella forma di Stato, attira l’attenzione dei Padri. Premesso che nell’Eden la legge dell’amore ordinava la libera convivenza, senza apparati d’autorità, quest’ultima si rese necessaria dopo la caduta conseguente al peccato originale e in particolare – scrive S. Ambrogio – per la libidine del potere.

Gli scritti che riguardano questo argomento sono anche di piacevole lettura. S. Basilio e S. Ambrogio prendono esempio, per indicare il giusto ordinamento e le vere finalità dello Stato, dalla vita degli animali (e cioè, rispettivamente, delle api e dellsantambrogioe gru). Nelle comunità degli animali ciascuno svolge il suo compito, sotto un’autorità, e così dev’essere nello Stato. Scopo essenziale di quest’ultimo, affermano i Padri mutuando in questo caso dalla migliore speculazione pagana, e nello specifico dal De republica di Cicerone, è la giustizia. Ma a ben vedere – dico io – dalla su esposta vita degli animali si comprende un concetto della più moderna politologia di ispirazione cristiana: scopo dello Stato è il perseguimento dell’interesse generale col fine ultimo del bene comune.

Infine, per il suo armonioso funzionamento, in vista appunto del bene comune, lo Stato sarà “animato” dalla virtù della solidarietà (S. Basilio: “nella convivenza civile e nei rapporti ordinari è necessaria la solidarietà per sostenere chi è nel bisogno”) e da quella della carità (S. Agostino nel De libero arbitrio: “la carità concilia chi comanda con chi obbedisce, chi è povero con chi è ricco…”).

La guerra e il servizio militare

Sulla guerra, oltre alla condanna, S. Cipriano (sec. III) ricorre anche al sarcasmo. Sentite questa: “Tutto il mondo è irrorato di sangue fraterno. E l’omicidio, se è commesso dai privati è un delitto, se è compiuto dallo Stato è un valore… Il che vuol dire che a determinare l’impunità dei delitti non è l’innocenza, ma la vastità della strage!”. E sul servizio militare Origene (sec. III) anticipa… don Milani! Per lui infatti anche il servizio militare è moralmente illecito, perché potenzialmente omicida.

Ma i più grandi tra i Padri, come Ambrogio e Agostino, affermano la liceità del servizio militare e con esso della guerra. Deve però trattarsi di “guerra giusta”. E tale è quella intrapresa per difendersi dall’aggressore e proteggere la patria. Grazie in questo caso a chi vi prende parte. Ma “gloria grande”, afferma Agostino, a chi evita la guerra stessa con l’uso della parola, a chi procura la pace con mezzi pacifici… E’ appena il caso di ricordare che anche l’art. 11 della nostra Costituzione stabilisce che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”.

Fermiamoci qui. La conclusione di quanto precede è che, alle robuste radici dei Padri della Chiesa, potrebbe ancor oggi ancorarsi chi intendesse acquisire la conoscenza della proposta sociale cristiana in modo approfondito e compiuto. Ma io riterrei già sufficiente, (anche) per rispondere alle raccomandazioni della Chiesa e completare in tal modo le nostre conoscenze in materia di fede e di morale, la lettura del bellissimo Compendio della dottrina sociale della Chiesa, purtroppo aggiornato solo al 2004, dove tra i vari documenti ed encicliche tali “radici” affiorano, qua e là…

Dunque: buona lettura!

Paolo Venzano

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2 Risposte a “RISCOPRIAMO LE NOSTRE RADICI: I PADRI DELLA CHIESA”

  1. Grazie Paolo
    interessante, spinge anche a continuare i nostri ripensamenti e approfondire….
    Potresti chiarire la traduzione di “rimandare”o “ripudiare”dalla lingua originale?

  2. Carissima Nuccia, mi scuso per il ritardo di questa risposta, ma solo oggi “scopro” la tua domanda. Come sai, S.Agostino – africano di origine – scriveva (e parlava) latino. E io ho naturalmente usato la traduzione in italiano, che penso attendibile. Anche se certamente non necessario, ripeto il suo pensiero a proposito della separazione dei coniugi. S. Agostino afferma che l’uomo o la donna nei casi indicati può “rimandare” (e cioè respingere, far tornare al luogo di provenienza) la controparte, ma mai “ripudiarla” (e cioè sconfessarla, troncare il rapporto anche giuridico con lei). Infatti, come anche ho scritto, chi si sposa resta sposato per sempre, sino alla scomparsa dell’altro coniuge. Con questo ti saluto fraternamente. Paolo
    12/02/’17

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