APRIRE LE PORTE A CHI E’ SOLO, ABBANDONATO, DISORIENTATO…

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 All’appello del Santo Padre di aprire le porte all’ospitalità verso gli innumerevoli immigrati che approdavano sulle coste italiane, Madre Sara, provinciale delle Gianelline, ha pensato che il loro fondatore, Sant’Antonio Maria Gianelli, sarebbe stato d’accordo, gianelline1visto che le aveva fatte nascere per assistere le ragazze abbandonate, malate, nel bisogno, che aprissero le loro porte alle ragazze immigrate.

 Pensò, con coraggio, alla residenza, fino allora utilizzata per accogliere le studenti universitarie, situata nel quartiere San Fruttuoso a Genova. Viveva in quella residenza una comunità di Religiose. Suor Letizia, religiosa del Movimento dei Focolari, di quella comunità, ancora molto attiva, non esitò un attimo all’invito della Madre Provinciale; era per lei quanto Dio voleva e, pur se la scelta non era facile, diede con gioia la sua adesione piena. A lei venne affidata tutta la responsabilità.

Fu così che, inserite nel quadro del progetto Emergenza sbarchi della Prefettura, arrivarono dalle Gianelline 25 ragazze, dai 16 anni in su,  di vari Paesi africani. Per Suor Letizia accogliere queste ragazze era aprire le porte a “Gesù” straniero, solo, abbandonato, disorientato. aprire le porteLe ragazze arrivavano dopo viaggi da incubo, dopo una lunga fuga dal loro Paese, avendo passato vicissitudini inimmaginabili. Erano davvero mal ridotte! Alcune operatrici della Caritas prestavano durante il giorno il loro prezioso servizio, ma ad essere sempre con loro era Suor Letizia. In collaborazione con le educatrici della Caritas, si voleva cogliere l’occasione di fare un percorso educativo con queste ragazze, per aiutarle ad essere più responsabili. Occorreva stabilire alcune regole fondamentali per una convivenza serena, alle quali non si poteva transigere: il rispetto dell’altro (venivano da diversi Stati e etnie dell’Africa) e andare d’accordo non era sempre facile. Aiutarle ad aver cura degli spazi, avere la cura personale, conoscere l’ambiente dove vivono, essere attente ai pericoli che possono incontrare e consapevoli delle scelte che fanno.

Non era tanto facile; queste ragazze parlavano inglese o francese o le lingue della loro etnia che Suor Letizia non conosceva, di culture diverse esprimevano necessità che non si riusciva a capire, solitudinevenivano da situazioni spesso terribili ed era comprensibile che ci volesse tempo e costanza per conquistare la loro fiducia. Pian piano queste ragazze hanno cominciato a cogliere il suo amore, a sentire in lei quell’ aiuto  costante al di là delle parole e suor Letizia ha incominciato a diventare per loro la “mama”.

Suor Letizia non era sola; vicino a lei Suor Giuseppina, delle Suore di Don Bosco, anche lei  del Movimento, trovava qualche modalità per darle una mano, per sostenerla con l’ascolto e la preghiera. Sentiva di dover amare l’Istituto di Suor Letizia come il suo, faceva pregare e offrire le altre Religiose, per questo. Un giorno ha pensato di coinvolgere anche una sua giovane consorella che parlava inglese. Suor Rebecca, entusiasta, ha accettato con gioia, cominciando a conoscere queste ragazze, coinvolgendole in varie attività, portandole nelle palestre o nei cortili della scuola per giocare a palla a volo o palla canestro.

Intanto crescevano i volontari che donavano qualche ora del loro tempo: chi  dava lezione di italiano, chi le faceva esprimere attraverso il disegno, chi dava lezioni d’igiene e di economia domestica. Anche alcune Religiose missionarie, tornate da poco dall’Africa, mettono a disposizione i loro talenti e tempo, per insegnare a cantare alle ragazze, traducendo per loro i canti italiani in inglese.  Attraverso le operatrici della Caritas si intensificava il loro inserimento per una formazione, in particolare per apprendere la lingua italiana. Alcune di loro che avevano una buona cultura si sono iscritte per ottenere la licenza media. Pian piano si instaurava un clima di più fiducia e apertura, nonostante la difficoltà di capirsi.

Suor Rebecca era diventata per alcune l’amica, la confidente. Arrivavano le feste natalizie, pregnanti per tutti ma ancor più per queste ragazze, senza famiglia, lontane da tutto. E’ Suor Rebecca a far rivivere loro l’atmosfera e il calore del Natale; senza guardare di quale credo fossero, le fa  rappresentare, in inglese, la nascita di Gesù. E’ davvero una festa; la scenografia, gli abiti, la scena del Natale impersonata da loro, le toccano nel profondo: quasi non vogliono più uscire da quell’incanto, non volevano più svestirsi. Viene preparato da loro per quel giorno un pranzo tipico dei loro Paesi ed è una festa. Qualcuna dice alla fine: “In vita mia non ho mai vissuto una festa così bella”. Più tardi, una di loro, che conosceva il cristianesimo anche nella sua terra, chiede di ricevere il battesimo; seguirà ora la formazione per questo.san fruttuoso 1

Per la serata di fine anno, alcune volontarie hanno preparato una tombola con tanti regali. E’  bello constatare come le ragazze sono cresciute nella vita di gruppo; si gode del regalo le une delle altre, lasciando da parte i paragoni e le gelosie. Arrivano le notizie, prima della morte del papa di una di loro, poi di un fratello. Organizzano loro le veglie di preghiera, con i bellissimi riti africani. Si rimane incantate nel constatare come alcune hanno delle bellissime voci.

Nel quotidiano, Suor Letizia segue l’evolversi di ogni cosa, con una presenza d’amore per queste ragazze, vegliando, assumendo anche quanto non va. Venute da situazioni le più terribili, per alcune non è facile cambiare. Un gruppo di loro escono al mattino e tornano alla sera, in alcune non c’è più il rispetto necessario a una convivenza serena; come fare?….. Varie critiche vengono dal di fuori, dalla gente del quartiere che vede queste ragazze andare e venire…….non si darà spazio a una realtà contraria al loro bene……? Momenti di dubbi e angoscia…… cosa farebbe Sant’Antonio Maria Gianelli, Chiara, in questo caso? Viene meno anche la comunicazione con le operatrici della Caritas…..la fiducia reciproca…… è il passaggio doloroso per un amore più grande…. Quasi tangibile nel cuore di Suor Letizia “Qualcuno” si fa strada, si fa sentire Vicino, immedesimato in quel dolore: “ Guardami sono qui, appeso alla Croce…..ero Dio e neanche di Me hanno avuto fiducia…..” Piano piano ogni cosa trova il suo vero senso, il vero perchè: dare, attraverso quelle realtà, la vita per queste ragazze, come ha fatto Gesù per ognuno di noi…… E con questo un più giusto discernimento: qualche cambiamento nel corpo delle operatrici, qualcuna delle ragazze, dopo aver visto insieme, viene cambiata di settore……

E, in attesa, si continua a far si che queste ragazze possano sperimentare che non sono sole, che Dio le ama, pregando e lavorando affinchè si apra per loro un avvenire migliore.

A cura di Gina

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2 Risposte a “APRIRE LE PORTE A CHI E’ SOLO, ABBANDONATO, DISORIENTATO…”

  1. Bellissimo.
    Madre Teresa, forse, non avrebbe fatto diversamente.
    Complimenti Suor Letizia; conta sulle mie preghiere.

  2. Molto bello!!! Grazie a Suor Letizia, che è stata ed è l’anima di questa esperienza, ma anche a Madre Sara che ha colto l’ispirazione, a Suor Giuseppina, a Suor Rebecca e a tutti coloro che si sono lasciati coinvolgere, associazioni e singoli: si è vista all’opera una “comunità educante”, un’utopia che si fa realtà…
    Marisa A.

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