Sono passati tanti anni. Ma, questa estate, durante un breve soggiorno montano ho più volte “rivisto” col pensiero quella giovane donna che, davanti alla spumeggiante cascatella di un ruscello di montagna o sulla sponda di un torrente scintillante al sole e dalla trasparenza cristallina, si bloccava letteralmente estasiata. Era come se penetrasse nella Bellezza, diventasse un tutt’uno con essa. Quella donna era mia madre…
Sì, chiare, fresche et dolci acque. Lo erano quando scriveva il Petrarca, nel XIV secolo, e forse lo sono ancora oggigiorno nella francese Valchiusa, così come sulle nostre montagne.
Ma io confesso che quando, recentemente, ho avuto la fortuna di rivederle, pur lodandone il Creatore non potevo dissociare lo sguardo dal pensiero sui dati che avevo acquisito proprio all’inizio del mese di giugno (in particolare, ma non solo, dalla pubblicazione Water Grabbing testè uscita, che letteralmente riguarda l’ “accaparramento” delle acque ed è edita dalla Emi). E’ il problema dell’acqua dolce nel mondo.
Come osserva la pubblicazione, fino a qualche anno fa era la qualità dell’acqua a preoccupare, ora invece è la sua quantità. Fattori diversi e praticamente ineludibili (quali sono la crescita demografica, il cambiamento climatico e l’aumento dei consumi alimentari) concorrono a creare una situazione del genere, ma tanto per cambiare è l’uomo che stravolge l’ordine e l’armonia della creazione (e non solo!) per ignoranza ed egoismo. E l’egoismo tende alla sopraffazione. Acqua e guerre sono ormai un binomio del ventunesimo secolo. Forse non tutti sanno, ad esempio, che nella Siria di cui si parla tanto l’acqua con l’aggravarsi del conflitto era diventata una delle principali armi per indebolire il nemico. E per questo decine di pozzi, dighe e depuratori erano diventati bersagli privilegiati. Ma anche Israeliani e Palestinesi hanno vissuto e vivono tensioni per il controllo dell’acqua. E c’è chi sostiene che non ci sarà pace in Terra Santa senza la condivisione dell’acqua…
Ma com’è ripartito il possesso dell’acqua nel mondo? Premesso che del quantitativo d’acqua che annualmente si rigenera sulla Terra per cause diverse si utilizza meno del 7 per cento, la ripartizione è fortemente squilibrata. Tredici Paesi sui 177 attuali ne detengono infatti il 65 per cento. E nell’ambito di tale distribuzione, oggettivamente iniqua, succede anche che l’80 % delle risorse idriche dei Paesi più poveri è assorbito dall’ agricoltura perché le tecniche irrigue locali sono ancora legate all’alto consumo di acqua. A ciò aggiungasi che in diversi di questi Paesi un elevato consumo d’acqua è necessario laddove le multinazionali hanno impiantato monoculture intensive. Ma le giornate che viviamo sono e saranno ancora calde per un pezzo. E come non pensare – allora – a quelle altre multinazionali che realizzano enormi guadagni imbottigliando l’acqua ed altre bevande e, per ciò, mettendo le mani su sorgenti, laghi e fiumi? Pensate che per produrre la Coca Cola che viene quotidianamente venduta servono ogni giorno qualcosa come 75 miliardi di litri d’acqua!
E’ per l’insieme di dette cause che la disponibilità pro capite è passata dai 9 mila litri cubi d’acqua potabile all’anno degli anni ‘90 ai 7.800 della prima decade di questo terzo Millennio, ed è destinata a calare ancora. Si calcola infatti che entro il 2030 una persona su due al mondo vivrà in zone ad elevato “stress idrico”.
In una situazione del genere che fanno gli Stati? Elaborano e se del caso sottoscrivono documenti destinati poi, in buona parte, a restare lettera morta. Così sembra sarà per il noto Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (2016) e così temo avverrà dopo il Forum mondiale sull’Acqua (World water forum) dello scorso mese di marzo. Da parte sua, l’Assemblea generale dell’ONU nel 2010 ha posto tra i diritti umani fondamentali l’acqua potabile e quella per i servizi igienico-sanitari.
Ma sappiamo che il 24 maggio del 2015 Papa Francesco ha regalato al mondo un documento “sulla cura della casa comune”, e cioè l’enciclica Laudato sì. Ricordiamo cosa dice, tra l’altro, il paragrafo 30:
“L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità”.
Ora la situazione è questa: considerato anche l’inquinamento delle acque sarà sempre più grande la difficoltà per i poveri di avere acqua per mangiare, per bere e per lavarsi, in pratica per vivere.
Ma il grido dei poveri troverà ascolto al cospetto di Dio. A noi verrà invece richiesto se abbiamo fatto la nostra parte…
Invochiamo lo Spirito Santo, nella cui festa liturgica è stata promulgata l’enciclica, perché un giorno possiamo sentirci dire: “Avevo sete, e tu mi hai dato da bere!”.
Di Paolo Venzano
Sì, è vero: sono cose che tutti sappiamo, che ci dispiacciono, che fanno pensare alle tante persone in difficoltà, anche estreme, ma poi corriamo il rischio di continuare col nostro stile di vita, magari ponendo poca attenzione nell’utilizzo di questo bene così prezioso, che noi, disponendone i quantità più che sufficiente, rischiamo di non considerare così importante.
Grazie Paolo che mi (e ci) richiami ad una maggior consapevolezza, ricordandoci
almeno di usare bene l’acqua e di non sprecarne.
Sempre interessanti e documentati questi concisi articoli di Paolo Venzano! Grazie mi
informi con competenza, mi proponi spunti importanti di riflessione.