Per compiere un’azione feconda, per conciliare la stima e la fiducia, qualsiasi corpo legislativo deve – come attestano indubitabili esperienze – raccogliere nel suo seno una eletta di uomini […] che nei periodi di transizione, generalmente travagliati e lacerati dalle passioni, dalle divergenze delle opinioni e dalle opposizioni dei programmi, si sentono doppiamente in dovere di far circolare nelle vene del popolo e dello Stato, arse da mille febbri, l’antidoto spirituale delle vedute chiare, della bontà premurosa, della giustizia ugualmente favorevole a tutti, e la tendenza della volontà verso l’unione e la concordia nazionale in uno spirito di sincera fratellanza. (Radiomessaggio di Pio XII Natale del 1944).
Dopo due mesi di nulla di fatto, di momentanei avvicinamenti e repentini e risoluti allontanamenti, è intervenuto nuovamente il Presidente Mattarella. Il quadro è quanto mai, nella storia d’Italia monarchica e repubblicana, incerto seppur chiaro: o si trovano accordi o la legislatura si concluderà senza neppure iniziare e il fondamentale strumento della partecipazione politica, il voto dei cittadini, sarà vanificato. Eppure le urgenze sembrano diverse, a detta dello stesso Presidente dello Stato: l’approvazione della legge finanziaria che permetterebbe di esorcizzare lo spauracchio delle democrazie finanziarie europee di questo millennio, ovvero lo scatto delle clausole di salvaguardia come l’aumento dell’Iva, che potrebbero portare ad effetti recessivi e al rischio di esporre la nostra situazione economica alla speculazione finanziaria. Parole che al cittadino medio richiamano una paura reale quanto sconosciuta; reale, perché la vita costa sempre di più, il risparmio è una realtà quasi impossibile per chiunque abbia meno di 40 anni e, quindi, il futuro è un grosso punto interrogativo; sconosciuta perché questa speculazione non ha un volto riconoscibile, non si sa da chi sia fatta né come limitarla se non, si dice, a danno della spesa sociale. E, così, la politica, che fatica sempre di più a controllare questi processi globali, rischia, allo stesso tempo, di perdere di vista il soggetto, il fondamento e il fine della vita sociale: la persona umana.
Come siamo arrivati a questo punto? È la domanda che sorge nei cuori e nelle menti dei cittadini. Il nostro paese è davanti ad un bivio: o l’opinione pubblica e i partiti comprendono la necessità di accordi trasversali, e questo comporta la rinuncia a presentarsi e percepirsi come i messia della politica, o dovrà governare una rappresentanza esigua del paese, attraverso un governo “neutrale” o uno di una singola forza politica. Non è la prima volta che l’Italia si trova davanti a questa opzione fondamentale. Penso all’ingresso nella prima guerra mondiale, all’immediato secondo dopo guerra con la scelta istituzionale e i lavori della Costituente, o, ancora, ai difficili anni di piombo, in particolare la fine degli anni ’70. Ogni volta che il paese ha scelto per lo scontro a priori, si è consegnato ad una minoranza e, dato che le minoranze, per quanto si dicano illuminate, non riescono mai a fare il bene comune (pensare all’ingresso nelle guerre mondiali), ci si è trovati sull’orlo del baratro. Quando, invece, abbiamo saputo fare sintesi fra sensibilità diverse, dando spazio all’ascolto reciproco, alla volontà di costruire il bene comune oltre il proprio interesse, allargando le basi della partecipazione politica e appellandoci alla responsabilità di ogni cittadino, abbiamo creato futuro. La fecondità, anche a livello politico, si fonda sull’apertura reciproca all’altro, sull’ascolto e sulla capacità di essere gratuiti ovvero di pensare e agire per un bene che è oltre sé.
Questa è, dunque, la vera opzione per ogni democrazia: essere se stessa o limitarsi con il rischio di distruggersi e, così, di perdere il suo scopo, la realizzazione del bene comune. Nella democrazia il popolo, non la massa, cerca questo scopo e la sua volontà, per riprendere le parole di Pio XII, mira all’unità, quello straordinario dono che nasce dalla valorizzazione della diversità, alla solidarietà e alla fraternità.
Davide Penna