IL DOPO ELEZIONI E I CATTOLICI: VIETATO STARE ALLA FINESTRA

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Prima delle elezioni del 4 marzo qualcuno forse sperava che il nuovo Parlamento avrebbe registrato la presenza di un più cospicuo numero di cattolici, anche se distribuiti in partiti diversi. Sarebbe stato in tal modo più facile, o meno difficile, ritoccare nel senso auspicato alcune leggi non in linea col pensiero cristiano. Alludo (ma sono solo due esempi) alle leggi sulle “unioni civili” (troppo simili nel contenuto al matrimonio previsto in Costituzione) e alla più recente legge sul cosidetto “testamento biologico” e cioè sulle DAT o Disposizioni anticipate di trattamento. Sarebbe stato nel contempo più facile introdurre nella legislazione italiana altri provvedimenti, ad esempio sullo jus soli…Un Parlamento “più cristiano” avrebbe più in generale approvato, chiaramente, una percentuale maggiore di decisioni conformi alla Dottrina sociale della Chiesa. Ma sappiamo tutti com’è andata: il numero dei cattolici eletti nelle due Camere è inferiore a quello precedente.

Non c’è da stupirsi. Una molteplicità di segnali diversi avvertiva da tempo di un’amara realtà: i cattolici praticanti sono una minoranza in Italia. Meglio allora che la presenza cattolica nelle maggiori sedi decisionali rifletta l’effettiva situazione del Paese. Per troppo tempo le posizioni sociali della Chiesa sono state (elettoralmente e non solo) strumentalizzate!

Prima di esporre quello che, a mio giudizio, è ora “il da farsi” da parte di chi intende affrontare i suoi doveri socio-politici in modo conforme al pensiero della Chiesa, vorrei esprimere il mio parere su due fenomeni che hanno caratterizzato la campagna elettorale.

Il primo concerne la cosidetta disintermediazione, ossia la rimozione di intermediari nella relazione fra chi chiedeva di essere eletto e i cittadini elettori. Ciò è avvenuto, com’è ben noto, soprattutto da parte di Matteo Salvini, che trainava la “coalizione” di Centro-Destra, e da parte di Luigi Di Maio del Movimento 5 Stelle. E’ evidente che chi apprezza la democrazia non può condividere il metodo sopra indicato. La democrazia esige infatti la partecipazione. Anche l’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II afferma che “la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche” (n.46).

Al fine di evitare la qualifica di populisti Salvini e Di Maio hanno poi scomodato, durante la campagna elettorale, il mandato imperativo (e qui scatta la mia seconda osservazione). Ricordo che col “mandato imperativo” l’eletto è tenuto a mettere in pratica le disposizioni a lui conferite dal proprio corpo elettorale. Peccato che tale sistema sia stato abolito nel…1789, dalla Rivoluzione francese, e che oggi, quantomeno in Occidente, si parli invece di “mandato politico”, che garantisce all’eletto quell’autonomia che un parlamentare deve pur sempre avere nell’esercizio delle sue funzioni.

A questo punto possiamo interrogarci sul “da farsi” da parte dei (pochi) deputati cattolici e da parte dei cittadini.

Come deputati, io penso che i cattolici dovrebbero approfittare del “potere”, qualora in loro possesso, ma anche della loro relativa degiurisdizzazione. Nonostante questo parolone, sto dicendo cose ovvie. Chi avesse cioè incarichi istituzionali dovrebbe come sempre impegnarsi per dare concretezza di legge ai valori. Per contro chi non avesse incarichi dovrebbe agire per dare concretezza valoriale alle leggi. Gli uni e gli altri dovrebbero cioè “mettere” un’anima nelle leggi (e qui possiamo ripensare, ad esempio, alla legge sulle unioni civili e a quella sul testamento biologico citate all’inizio).

Quanto a noi cittadini, ricordiamoci che uno dei principi cardine della Dottrina sociale della Chiesa è il principio di sussidiarietà. Anche se non è simpatico farlo, mi permetto di ricordare che quasi vent’anni fa io avevo pubblicato su “Nuova Umanità” uno studio in materia (“La sussidiarietà nel Magistero sociale della Chiesa: una rivoluzione possibile, “Nuova Umanità” di gennaio-febbraio 2000). La sussidiarietà rende protagoniste le persone e le famiglie, anima i corpi sociali intermedi fra cittadini e Stato, rende insomma viva la società. Approfondiamone il concetto! Oggi, per viverla, siamo favoriti dalla recente approvazione del Testo unico sul Terzo settore (e quindi sulle varie forme di volontariato sociale). Non c’è dubbio che stare in politica oggigiorno ha senso e valore se è espressione di un popolo in azione. Altrimenti anche la presenza dei cattolici in politica diventa un fatto individualistico…

Mi piace concludere con la preghiera per i governanti (penso a chi governerà l’Italia dopo il voto del 4 marzo) che abbiamo letto venerdì 30 marzo, Venerdì santo: “Preghiamo per coloro che sono chiamati a governare la comunità civile, perché il Signore Dio nostro illumini la loro mente e il loro cuore a cercare il bene comune nella vera libertà e nella vera pace”. Così sia !

Paolo Venzano

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Una risposta a “IL DOPO ELEZIONI E I CATTOLICI: VIETATO STARE ALLA FINESTRA”

  1. Grazie, Paolo: ho imparato cose nuove, come per esempio la differenza tra “mandato imperativo” e “mandato politico”.

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