Faccio alcune premesse (forse inutili, ma chissà…) sui concetti contenuti nel titolo.
L’ interesse generale è l’interesse della pluralità degli individui di una determinata comunità. E’ quello che comunemente si dice interesse pubblico.
Del bene comune ho già avuto modo, in uno scritto precedente, di riportare la chiara definizione tratta dalla Costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio ecumenico: “E’ l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alla collettività che ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione nel minor tempo possibile”.
E’ appena il caso di rilevare che il bene comune va perseguito in ogni comunità: dalla famiglia alla società civile, dalla città allo Stato, alla comunità internazionale.
Le “condizioni” di cui parla la definizione di “bene comune” sono poi date dalle positive conseguenze che, in ogni campo della vita, conseguirebbero qualora venissero concretamente vissuti, in primo luogo, quei “principi fondamentali” che sono come i pilastri della Dottrina sociale della Chiesa. Con l’invito ad approfondirli, se possibile, li ricordo sommariamente di seguito:
– principio del personalismo (secondo cui l’uomo, con le sue uniche e irripetibili caratteristiche, è fondamento e fine della comunità politica. Essa è infatti costituita e amministrata dall’uomo a vantaggio dell’uomo stesso. E’ questo, ovviamente, un principio pregno di conseguenze);
– principio della sussidiarietà, di cui l’enciclica Quadragesimo Anno indica in questo modo il contenuto: “Com’è illecito sottrarre agli individui ciò che essi possono compiere con le proprie forze e di loro iniziativa per trasferirlo alla comunità, così è ingiusto affidare ad una maggiore e più alta società quello che le minori e inferiori comunità possono fare”. In base allo stesso principio, se necessario le organizzazioni (“società”) di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto (subsidium, donde sussidiarietà) rispetto alle minori;
– principio della solidarietà, normalmente inteso come sentimento di fratellanza e di vicendevole aiuto che lega i membri di una collettività. Ma per la Dottrina sociale cristiana è un principio sociale ordinatore delle istituzioni, in base al quale le strutture di peccato che dominano i rapporti tra le persone e i popoli devono essere superate e trasformate in strutture di solidarietà. E ciò mediante nuove leggi o modifica di leggi esistenti, regole del mercato, ordinamenti. Così si esprime l’enciclica Sollicitudo rei socialis. E’ intuitivo, ma va rilevato, che la solidarietà presuppone rapporti di giustizia, in campo economico e non solo;
– principio della destinazione universale dei beni. Dice in proposito la Gaudium et Spes. “Dio ha destinato la terra e tutto ciò che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, dimodochè i beni della creazione devono equalmente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, che è inseparabile dalla carità”.
E’ evidente che per un riassetto della convivenza umana all’insegna dell’interesse generale e del bene comune è necessaria un’autorità. Sentiamo ancora la Dottrina sociale cristiana: “La convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e feconda se in essa non è presente un’autorità che assicuri l’ordine e contribuisca all’attuazione del bene comune… Tale autorità, come insegna S. Paolo, viene da Dio” (enciclica Pacem in terris). Ricordo in proposito che in molteplici sedi e documenti la Chiesa cattolica ha richiesto l’istituzione di Autorità dotate di indipendenza e di potere sufficienti a favorire la pace e la giustizia sociale nel mondo. Ma consentitemi di riportare anche un pensiero di S. Basilio, il Padre della Chiesa del IV secolo d.C. Di lui in altro scritto ho già ricordato il discorso sull’organizzazione “politica” delle api, nella quale ciascuna svolge il suo compito. Aggiungo ora che egli suggerisce pure in qual modo dovrebbe esercitarsi il potere. Nel regno delle api, dice, sappiamo che l’autorità è posseduta dalla regina, che infatti ha l’aculeo. Ma attenzione! La regina non usa l’aculeo per castigare. “E queste, conclude S. Basilio, sono leggi di natura non scritte: l’esser lenti alle punizioni, una volta ascesi al potere più alto”.
Come prima accennato, una concreta e intelligente “applicazione” dei principi velocemente indicati, unitamente ad altri suggerimenti della Dottrina sociale, consentirebbe di realizzare gradualmente le condizioni per la tutela e lo sviluppo delle persone singole e associate nel modo più soddisfacente e veloce.
Ora, si comprende che per raggiungere un risultato del genere tutti gli uomini sono tenuti a fare la loro parte. Ma il titolo di questo scritto fa implicito riferimento a chi, nel campo economico, sociale o politico ha le maggiori possibilità e quindi le più grandi responsabilità.
Limitandoci all’aspetto politico e con particolare riferimento all’Italia e all’attualità, la maggior parte dei politici e dei partiti sembra perseguire esclusivamente il proprio interesse, pure – dice qualcuno – di bottega…Altro che “interesse generale” o addirittura “bene comune”!
A questo punto, e a mò di conclusione, possiamo farci la domanda: ma io che posso fare? Ebbene, io rispondo con la mia lunga esperienza a contatto con uomini politici.
Considerato che alcuni cristiani e uomini di buona volontà, anche se per altri aspetti preparati all’impegno politico, non sanno spesso come “tradurre” in modo adeguato, a favore dei cittadini, idee e progetti in se stessi utili e validi, io penso che noi dovremmo fare quanto è in nostro potere per avvicinarli alla Dottrina sociale cristiana (per molti ancora la grande sconosciuta) e far loro comprendere che essa potrebbe suggerire non solo i principi e i valori ma, non di rado, anche le modalità concrete per fornire alla persone i migliori servizi che giustamente esse aspettano da chi è stato eletto per questo. E tutto ciò nell’ottica appunto dell’interesse generale e del bene comune. Io credo che questo sia un mio e un nostro sacrosanto dovere!
Paolo Venzano