Venerdì 7 aprile, a Genova, presso la sala Quadrivium di Piazza Santa Marta, nell’ambito della missione dei giovani ai giovani di Gioia Piena organizzata dalla diocesi, ci sarà un incontro rivolto a chiunque è immerso nella sfida educativa, a chiunque abbia a che fare con quella fantastica avventura che è la formazione, l’insegnamento, la relazione con chi ha bisogno di un tuo aiuto. L’incontro, dal titolo La sfida educativa. Non ci sono studenti cattivi, avrà come ospiti don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Cesare Beccaria di Milano e autore del libro, tra gli altri, Non esistono ragazzi cattivi, e della professoressa Mariella Carlotti, insegnante di Lettere a Firenze nelle scuole secondarie di secondo grado.
L’incontro vuole essere un momento di formazione per chi è insegnante ed è significativo che non riguardi competenze, stesura di documenti didattici, contenuti disciplinari, come spesso i momenti istituzionali di questo tipo fanno. Come insegnanti viviamo immersi in una quotidianità fatta di burocrazia, di programmazione (o, come si preferisce oggi, di progettazione), fatta di un linguaggio burocratico che sempre di più è intriso di termini economici (offerta formativa, debito/credito scolastico) che rischia di farci perdere di vista, inconsapevolmente, il centro della missione che abbiamo: quello della relazione educativa volta ad aiutare chi abbiamo di fronte a fiorire pienamente come persona.
La relazione è il luogo, il come e il senso della sfida educativa e di ogni avventura formativa. Ogni acquisizione di competenza o di contenuto avviene dentro ad una relazione, riceve lo scopo da e si alimenta con essa. Una relazione che deve nascere dalla fiducia nelle potenzialità di chi sono chiamato a formare poiché l’educazione è un investimento, è una profezia, è un saper vedere quello che è ancora non c’è, è una ingenua ma profonda fiducia nel non ancora dischiusa da un già che vive e si alimenta di uno sguardo di bene. Non solo, ma la relazione richiede capacità di saper rimodellare il proprio giudizio sull’altro, richiede libertà, apertura nel non rinchiudere chi ho di fronte in un giudizio, in una pre-comprensione che, sebbene sia necessaria, non dev’essere asfissiante, non deve far mancare l’aria in cui l’altro può respirare e crescere. In questo senso la relazione educativa si deve svolgere sempre in un contesto ermeneutico, ovvero in una dinamica in cui è preservato il mistero di chi ho di fronte, per quanto occorra saper vagliare i suoi comportamenti. Sì, per l’insegnante l’alunno o, in generale l’educando, deve mantenere sempre quel velo di oscurità, quel senso di irriducibilità, che solo permette una valutazione formativa. Solo se l’altro è qualcuno che non ho esaurito col mio giudizio, può ricevere da me – educatore – l’aiuto ad essere pienamente se stesso come limite che, continuamente, si approfondisce nell’apertura all’altro.
Davide Penna