Nairobi 2015: un’impresa non basta

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Nei giorni fra il 26 e il 31 maggio scorsi ho avuto l’opportunità di partecipare al quinto congresso internazionale dell’Economia di Comunione. Ho preso parte ai lavori da semplice curioso, ma mentre scrivo mi rendo conto che in effetti era giusto che qualcuno rappresentasse la Liguria, regione che ospita alcune realtà EdC significative a livello nazionale e internazionale.18005978100_bdbdfce633_z

In primo luogo è stato affascinante sperimentare la diversità delle aziende aderenti: dalla società per azioni alla piccola impresa agricola, dalla banca alla cartoleria. Non esistono dimensioni economiche minime per l’EdC. Si tratta di una “vocazione” che impegna l’imprenditore lì dove si trova, con i mezzi che ha a disposizione. A questa diversità strutturale si aggiunge quella creativa, con cui si esprime l’impegno verso i poveri e la comunità. Si vede come gli imprenditori non interpretino questo impegno in modo uniforme, ma lo declinino in modo originale a seconda dei contesti. Ci sono aziende che donano parte della produzione ai poveri della loro zona, altre che, autofinanziandosi, forniscono servizi che altrimenti nessuno erogherebbe, altre ancora protagoniste di progetti di sviluppo locale.

Gli esempi di azioni concrete sono innumerevoli. Mi ha colpito ascoltare imprenditori competenti parlare di dono, gratuità, fiducia, provvidenza: concetti completamente fuori dal discorso economico e ora portati all’ attenzione della comunità produttiva e scientifica attraverso l’attività costante e silenziosa di qualche centinaio di imprese, nella quasi totalità piccole se non microscopiche realtà, sparse in tutto il mondo. 18034292529_6cf9dcec55_zAderire all’ EdC non significa, per queste aziende, sfoggiare una certificazione da mettere in etichetta (che non c’è e a mio avviso è meglio così), non è un lavarsi la coscienza con azioni filantropiche, di cui del resto anche i bilanci sociali di certe multinazionali, dirette responsabili di tante storture, sono zeppi. Significa invece provare a cambiare le cose nell’unico modo possibile: prendendosi cura di una persona alla volta. Ho avuto modo di apprezzare come alla pratica si stia affiancando una solida teoria, finalmente, anche se con timidezza, riconosciuta dalla scuola mainstream. Senza però dimenticare che «l’EdC è per i poveri, non per i professori», come ebbe a dire Chiara Lubich.
Infine, mi porto a casa la bellezza della natura africana, in cui ho potuto immergermi per qualche giorno prima del congresso, proprio nei luoghi in cui, in epoche remotissime, l’uomo non ancora Uomo ha imparato la cooperazione. È scritta nel nostro Dna: gli imprenditori EdC col loro agire ci ricordano le cose davvero importanti.

Alberto Sturla

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Qui puoi leggere il numero del notiziario EdC dedicato al congresso

Qui puoi vedere la photogallery e leggere gli interventi del congresso

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