In vista del prossimo referendum sulla Costituzione, dopo l’intervento già pubblicato di Paolo Venzano, ospitiamo volentieri la riflessione di Luigi Picena, esperto della materia e già assessore alla Provincia di Genova. Ci auguriamo che i diversi contributi, anche di segno opposto, aiutino ad arricchire le riflessioni personali di ciascuno. Informiamo inoltre che sull’argomento il Mppu organizzerà un momento di approfondimento e di dialogo nel mese di settembre, con relatori delle due diverse opzioni.
Nel mese di ottobre si svolgerà il referendum confermativo della riforma costituzionale approvata dal Parlamento. Non è la prima volta: nel 2001 c’è stato un referendum relativo alla riforma costituzionale approvata dal centrosinistra, il cui punto qualificante era un significativo trasferimento di competenze alle regioni; vinse il Sì. Nel 2006 fu sottoposta a referendum la riforma del centrodestra, i cui punti salienti erano il superamento del bicameralismo con un Senato rappresentativo delle regioni e l’introduzione del premierato; vinse il No. In 15 anni ben tre progetti di profonde modifiche costituzionali.
Dunque per la terza volta dobbiamo esprimere la nostra opinione, un si o un no, basato per quanto possibile sulla conoscenza della proposta.
Una disamina puntuale del testo di legge sarebbe troppo lunga e persino controproducente: gli inevitabili tecnicismi farebbero perdere di vista l’essenziale, che a mio parere deve focalizzarsi su una domanda: la riforma approvata realizza gli obiettivi espliciti dichiarati dai proponenti? Gli obiettivi sono, nella sostanza, tre: ridurre i costi della politica, semplificare le procedure legislative, aumentare il potere dei cittadini.
Partiamo dalla riduzione dei costi: è il segno dei tempi, da quando l’unica fonte di legittimazione della nostra società è l’economia tutto ha un costo e perfino l’esercizio della democrazia può ridursi ad una mera voce contabile.
Per far quadrare i conti sono state eliminate le province come soggetto democratico, oggi tocca al Senato, domani a chi? Ma anche accettando questo tipo di ragionamento, c’erano in campo soluzioni alternative più efficaci, tipo una riduzione significativa di deputati e senatori o l’abolizione pura e semplice del Senato, o meglio ancora un Senato rappresentativo delle regioni, come era nella proposta del centrodestra.
Invece è stata scelta una soluzione pasticciata e di basso profilo.
I nuovi senatori saranno Sindaci e Consiglieri Regionali, le cui modalità di scelta saranno definite più avanti con una nuova legge e, avendo tutti un doppio incarico istituzionale, è facile predire quale sarà quello prevalente. Per di più saranno membri di un Senato, e qui veniamo al secondo punto, che conserverà notevoli poteri legislativi oltre a concorrere all’elezione di due giudici costituzionali e del Presidente della Repubblica.
Il nuovo art. 70, in modo opaco e contorto – basta provare a leggerlo – prevede per le competenze legislative del Senato almeno una decina di procedure diverse per l’approvazione delle leggi e tutto ciò sarà fonte di un contenzioso infinito con la Camera dei deputati circa i rispettivi poteri.
Infine si riducono di molto le competenze delle Regioni e, tramite il principio costituzionale di interesse nazionale, ora inserito e peraltro deciso dal Governo su singole questioni, lo Stato può legiferare anche sulle materie di competenza esclusiva regionale. In generale, attraverso l’aumento dei vincoli finanziari e normativi, si riduce l’autonomia degli enti locali. Se questa riforma sarà approvata, in poco più di un decennio passeremo da un’ipotesi di repubblica federale ad un neocentralismo statale al di fuori del tempo e della storia.
Una riforma opaca si è detto, e questo giudizio è confermato da tante piccole modifiche che sfuggono all’attenzione dell’opinione pubblica ma che, valutate unitariamente, prefigurano un’architettura istituzionale sempre più verticistica ed autoreferenziale.
Alcuni esempi: il Presidente della Repubblica sarà eletto dalla settima votazione in poi dai tre quinti dei votanti e non più degli aventi diritto; si delimita meglio il potere del governo di emanare decreti legge ma si inventa la corsia preferenziale per cui i disegni di legge governativi devono essere approvati in 70 giorni!; si abbassa il quorum del referendum ma ci vorranno 800 mila firme per richiederlo; la Costituzione non solo tutela ma “promuove” la concorrenza: come si potranno coniugare i principi costituzionali di uguaglianza e tutela dei diritti sociali, come la salute, con la concorrenza sarà tutto da dimostrare. Mettendo insieme queste modifiche è molto difficile sostenere che il cittadino avrà più poteri, anzi si ha la sgradevole sensazione che di fatto assumerà il ruolo di spettatore di una partita giocata da altri per suo conto.
Infine alcune osservazioni sulla nuova legge elettorale, cosiddetta Italicum.
Non è vero che non è collegata con la riforma costituzionale. L’Italicum è una legge valida solo per la Camera ed è stata approvata con largo anticipo rispetto alla riforma e dando per scontato il risultato positivo del referendum, alla faccia della volontà popolare.
Se i cittadini bocceranno la riforma, grazie a questo Parlamento ci troveremmo nell’assurda situazione di dover votare per la Camera con l’Italicum e per il Senato con il Porcellum: incredibile ma vero. Il punto chiave della legge elettorale è il ballottaggio: una minoranza anche esigua ottiene per legge la maggioranza assoluta alla Camera, 340 su 618 (sono esclusi dal computo i 12 parlamentari eletti all’estero). Con questi numeri le conseguenze sono evidenti: si concentra il potere esecutivo e legislativo nelle mani di pochi. E’ un bene per i cittadini? Alcuni pensano di si, ritenendo che il rafforzamento dell’esecutivo sia indispensabile per risolvere i problemi del Paese: l’importante è decidere e in fretta, l’azione, la velocità, diventano di per se un valore a prescindere dal merito. Ma è un’opinione smentita dai dati concreti e dalle esperienze di tanti Paesi democratici. La Germania, esempio di stabilità politica, ha una legge elettorale di orientamento proporzionale, come del resto la maggior parte dei Paesi europei. Solo Inghilterra, Francia, Grecia e Italia hanno un sistema maggioritario. Purtroppo é un’illusione pensare di governare società complesse come le nostre rimuovendo conflitti, interessi, diversità, riducendo i mille colori della vita al bianco e nero, al si o no. Occorre invece riscoprire e valorizzare la buona politica, la cittadinanza attiva, per poter governare le mille diversità sociali nell’interesse di tutta la comunità.
In conclusione un NO convinto due volte: per bocciare questa riforma e per lasciare aperta la possibilità per una soluzione dei problemi condivisa e più efficace nell’interesse del paese.
Luigi Picena
Caro Luigi,
rileggo il tuo articolo dopo la pausa agostana. E ancora apprezzo il valore delle tue argomentazioni a favore del “No” e la lucidità dello scritto. Visto però che nessuno ha espresso un commento al riguardo, ecco di seguito il mio. Per la verità, più che un commento a quanto hai scritto la mia è una sommaria esposizione delle ragioni , profonde ma solo implicite nel mio precedente intervento, che mi orientano al “Sì”.
Si tratta cioè di vedere, in primo luogo, se con le modifiche introdotte sono stati rispettati , almeno nella sostanza, i valori che informano la nostra Costituzione, valori universalmente apprezzati e che la rendono così bella…Sono, come ben sappiamo, i valori di uno Stato personalista e pluralista.
In secondo luogo, si tratta di valutare se le nuove norme traducono o, come anche suol dirsi, “incarnano” adeguatamente tali valori.
Oggigiorno e nei prossimi mesi, e anche da chi è esperto e in buona fede, in vista del referendum si ragionerà soprattutto del contenuto e della valenza delle nuove norme costituzionali. Ma a me (e chiaramente non solo a me) pare fondata l’opportunità di valutare le “modifiche” alla luce delle idee e delle proposte del periodo costituzionale, recuperandone auspicabilmente anche la “carica” spirituale che le alimentava.
E’ infatti indubbio che, proprio perché la Costituzione è soprattutto una Carta di valori, prima ancora che un insieme di norme, l’esame che ci attende è la verifica della concreta “fedeltà” a quei valori. Ma sarebbe altrettanto desiderabile che tornasse viva la tensione all’unità che,nonostante la pluralità di vedute e i differenti percorsi culturali, ha accompagnato il periodo costituente.
Paolo Venzano
Mi sembra una bella partita di “ping pong”.
Grazie dei contributi ed in attesa del sereno confronto del 23, un caro saluto a tutti.
Grazie a Luigi Picena e a coloro che hanno redatto i due “PDF” esplicativi sul referendum. Mi sembra arduo che i nostri concittadini chiamati a scegliere al referendum, abbiano la voglia e le competenze per capire il merito della questione.
Ho notato che nel raffronto fra il vecchio e il nuovo Senato, non viene menzionata l’immunità parlamentare. E’ vero che nella nuova Costituzione verrebbe ripristinata per i senatori l’immunità parlamentare ?
Mi convinco sempre più che la lettera della norma senza lo “spirito” ossia i valori morali delle singole persone che devono applicarla, è lettera morta.
Bisogna inculcare nei cittadini almeno i valori civili : l’onestà, la lealtà, il senso del dovere, la trasparenza. Come ?
Innanzitutto con l’esempio.
E poi relativizzare l’importanza delle cariche politiche. Non mi rieleggono ? Pazienza. Torno a fare quello che facevo prima.
L’importante è che, durante il mio mandato, mi metta sinceramente al servizio dei cittadini.
Poi mi chiedo : quale riforma costituzionale potrebbe impedire un terremoto come quello che ci ha colpito recentemente?
La vita e’ più grande della politica.
Cari saluti.
Salvatore P.
Molto interessanti ed esplicativi sia il precedente articolo di Venzano (orientato al SI) che questo di Picena (per il NO). I ragionamenti di Picena sono molto “fini”, profondi, attenti , ti fanno riflettere, difficile non coglierne tante verità ….personalmente, continuerò a informarmi e riflettere (sino al giorno del voto) su cosa sia meglio fare.
Al momento, propendo per il SI. Perché tante delle modifiche sono da me condivise. Ma (purtroppo) anche perché se vincesse il NO….per il paese probabilmente sarebbe una “brutta cosa”.
Probabile crisi di governo, o comunque una frenata di un importante processo riformatore (seppur con tanti tanti difetti). Vittoria di una opposizione che vota NO solo per far cadere Renzi. Vedi Lega e Forza Italia per esempio.
Vittoria di vecchi personaggi in cerca di rivincite….vittoria di una sinistra sinistra capace di far opposizione anche a sé stessa….di un M5S sempre più deludente che sembra saper governare a parole solo dove non governa.
E questo tipo di riforme assolutamente necessarie all’ Italia (un bicameralismo perfetto superato per esempio), NON si faranno più per altri 20 anni…
E poi l’ Europa, gli alleati, gli investitori ce la farebbero pagare: frenerebbe l’ economia, si ridurrebbero gli investimenti e ne risentirebbero principalmente le classi disagiate.
Certo, se Renzi e soci avessero ascoltato di più, se avessero tenuto conto del parere di altri esperti, associazioni, istituzioni, se non avessere badato più a fare in fretta che a trovare le soluzioni migliori, se se…
Una riforma ci voleva e sarebbe stato bello avere una bella riforma, maggiormente rappresentativa e condivisa e che facesse crescere la democrazia partecipata…
Comunque, concludo, nel presente penso che voterei SI, per il cambiamento (e miglioramenti o correttivi saranno possibili strada facendo), perché votando NO tutto rimarrebbe come è adesso, e francamente, NON è un belvedere…
Oscar Sicbaldi, Genova