Se il confronto di idee su un determinato argomento, quando è effettuato in un certo modo, porta sempre a risultati positivi, oltrechè ad arricchire chi lo esegue, ebbene vorrei anch’io esprimere il mio parere su quel complesso di uffici pubblici che, per l’espletamento dei suoi compiti, necessariamente detiene un potere (donde il nome appunto di burocrazia, che viene dal francese bureau e dal sociologo tedesco Max Weber, che l’ha introdotto).
Nel suo articolo intitolato “La piaga della burocrazia” Alberto Ferrucci definisce la burocrazia italiana un mostro inafferrabile, e quindi imbattibile. E, in effetti, quando già nel XVIII secolo fu coniato il termine, con esso si intendeva indicare il prepotere degli apparati amministrativi.
Ma la burocrazia esiste da sempre. Infatti esempi di organizzazione burocratica erano già presenti – pensate un po’… – nell’antico Egitto e nell’antico impero cinese…ma in epoca moderna la burocrazia si è affermata in particolare con l’intervento dello Stato nel campo dei servizi pubblici. E poi ha dilagato. In proposito il carissimo Roberto (Zanovello) ricorda l’enorme costo della burocrazia italiana. Eppure esistono da anni, qui da noi, appositi corsi di studio (di Scienza dell’amministrazione) per razionalizzare i processi amministrativi e quindi ridurre anche le spese. Un confronto con gli altri Paesi occidentali non è facile, in quanto ciascuno ha uffici pubblici derivanti dalla sua storia politica. Ad esempio la Francia, che un tempo era portata ad esempio, ora non è più tale. Senza parlare di quanto capita nell’Unione Europea…
Ma chiudiamo la parentesi. Nel suo scritto Alberto Ferrucci va oltre il titolo e fa una completa disamina dell’apparato pubblico per quanto attiene gli “atti obbligatori”: dall’iter di formazione delle leggi agli atti amministrativi di applicazione delle leggi stesse. E non manca di rilevare qualcosa che non va o che potrebbe non andare, a partire proprio dalla formazione delle leggi.
Viene così denunciato, nei provvedimenti legislativi, il frequente rinvio a leggi diverse (di cui, aggiungo, si cita solo il numero e la data). Con la conseguenza che la nuova legge sarebbe interpretabile solo…da chi l’ha scritta. La cosa che però stupisce di più è un’altra. Viene cioè ipotizzata la possibilità che un qualche e apparentemente innocuo accorgimento lessicale, all’interno di una legge, possa favorire qualcuno o magari portare all’annullamento dell’atto attraverso un successivo ricorso amministrativo. Certo, anche queste possibilità esistono. Inoltre a pensar male ci si azzecca sempre, diceva qualcuno. Ma esporre queste cose quasi fosse una regola non mi sembra giusto, né fondato. La disonestà esiste in ogni campo della vita associata…
Disonestà a parte, l’apposita tecnica per scrivere una legge prescrive certo che, se possibile, la nuova disposizione sia in se stessa esaustiva, senza “rimandi” ad altre norme. Ma spesso, specie per ragioni di tempo, tutto questo non è possibile. La prassi politica italiana, in vigore ormai da molti anni, è tale per cui certe leggi anche molto complesse (penso ai maxi provvedimenti legislativi degli ultimi mesi) devono essere scritte in fretta e furia…C’è solo da auspicare e se possibile impegnarsi perché la situazione migliori.
E veniamo al sistema di applicazione delle leggi (statali e regionali) da parte dei molteplici uffici pubblici (la burocrazia comunemente intesa, appunto). In proposito sono naturalmente d’accordo che un doveroso senso di servizio ai cittadini porterebbe gli amministratori, i dirigenti e i funzionari, per quanto di rispettiva competenza, a individuare il modo migliore per favorire il pubblico. Al riguardo Alberto Ferrucci fa un esempio concreto. Premesso che l’intelligenza e la creatività non sono da tutti, concordo però sul fatto che, anche in questo campo, basterebbe spesso un semplice pizzico di buona volontà da parte di chi sta “al di là dello sportello” per aiutare il cittadino. Basterebbe vivere la “regola d’oro”, che non esige la santità. Personalmente posso anch’io esemplificare (ma gli esempi “positivi” potrebbero essere molti, naturalmente). Anni fa c’è stato un periodo in cui negli uffici sia del Comune che della Provincia di Genova preposti alla definizione di determinate infrazioni stavano seduti impiegati che si mettevano realmente nei panni degli altri. Succedevano allora cose incredibili, che avevo constatato di persona. Cittadini che entravano infuriati uscivano sereni e distesi…Ho più volte raccontato questi fatti. E certamente ognuno di noi conosce funzionari del genere…
Ma non vorrei chiudere questo scritto senza accennare a qualche idea sul possibile e certo doveroso miglioramento della situazione.
C’è stato un momento, negli ultimi decenni, in cui si stava diffondendo la partecipazione. In tutti i campi. Anche perché la cultura politica e la conseguente legislazione la favorivano. L’Italia del tempo era quindi sostanzialmente più democratica. Infatti una società effettivamente democratica si fonda anche – lo sappiamo – su una pluralità di comunità e di associazioni di cui le persone possono far parte liberamente. E lì si aiutano a decodificare le informazioni, i progetti e le stesse proposte di legge. Allora molti cittadini rivelavano un interesse e una “competenza” insospettabili. Un disegno di legge zeppo di “rinvii” sarebbe stato severamente stigmatizzato, carissimo Alberto, con forte invito a renderlo più “leggibile” da tutti…
Ma da quell’epoca molte cose sono cambiate. La crisi della politica, dei partiti e della democrazia, ormai ampiamente svuotata dei suoi ideali, è sotto gli occhi di tutti. E pensare che ancora nel 1991 il giurista e filosofo Norberto Bobbio riteneva che “non fosse troppo temerario” chiamare il nostro tempo l’era della democrazia. Invece trent’anni dopo la democrazia rappresentativa appare ovunque in crisi.
La realtà è che la democrazia non è mai una conquista definitiva. Le persone più consapevoli e responsabili dovrebbero, se credono nel sistema democratico – come la Chiesa cattolica, che “apprezza il sistema della democrazia”, dice l’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II al n. 46 – operare congiuntamente e nel modo meglio visto per reintrodurre in Italia il necessario “ambiente” o, meglio, quell’ humus che poi lo rivitalizza e lo nutre.
Ma i tempi – nonostante il coronavirus…- sembrano fortunatamente maturi. Infatti recentemente, in occasione della Festa della Repubblica, molti esponenti italiani delle istituzioni e della cultura hanno parlato dell’esigenza di un nuovo e più partecipato “patto sociale”, e poi anche della conseguente “rinascita del Paese”, di “riforme strutturali”, e via dicendo. E le manifestazioni in corso in tutto il mondo per l’uccisione di George Floyd se sono certo una forte protesta per una maggiore giustizia sociale sono anche l’implicita richiesta di una più articolata ed effettiva “partecipazione” popolare nell’amministrazione degli Stati.
Com’è noto ai miei dodici lettori, di politica (e di nuovi partiti) ho ultimamente parlato più volte su questo Sito. Se sarà possibile, a suo tempo ritornerò sull’argomento. Ma saremo noi capaci di progettare e realizzare un futuro che non sia solamente una copia (magari brutta…) di ciò che è già stato?
Chi può e chi vuole si tiri dunque su le maniche…e congiunga le mani in un certo modo!
Paolo Venzano