DOMENICA DELLE PALME: il primo passo dell’amore è lasciarsi amare

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La domenica delle Palme ci introduce alla settimana più importante dell’anno, quella in cui è condensato tutto il mistero del cristianesimo ovvero la passione, morte e resurrezione del Dio-uomo. Proviamo, per prepararci a vivere coscientemente la perfetta letizia che ci aspetterà in fondo a questa settimana e che si rinnova ogni giorno, a riflettere sul senso e il significato della festa di oggi.

Gesù entra a Gerusalemme su un asino, acclamato come un re, di più, come un messia dalla folla; urla di benedizione e di osannazione, saluti con fronde e mantelli. Eppure, di lì a poco, questo strano messia, sarà ucciso tra le urla della folla che, questa volta, sceglie di ucciderlo. Ed è proprio questo il primo dato su cui riflettere: Dio è rifiutato e noi non siamo in grado di impedirlo. Anzi, abbiamo paura di accoglierlo, di difenderlo, di vegliare con lui. Assomigliamo molto a Giovanni, Giacomo e Pietro a cui Gesù chiede di restare e vegliare… ma non ce la fanno. Eppure avevano visto i miracoli, avevano addirittura visto Gesù trasfigurarsi, avevano compreso la Sua natura di amato da Dio, il Suo essere compimento della Legge e dei Profeti… ma non riuscirono a vegliare con Lui. Di più, scapparono e lo rinnegarono. Quelle promesse d’amore che nascevano nel loro cuore quando sentivano Gesù parlare, quando lo vedevano accogliere tutte le ferite dei più disperati, quella fede che sembrava così forte… tutto infranto in quella notte.

Sì, dobbiamo accettarci come deboli, dobbiamo convivere con il fatto che il nostro essere discepoli di Cristo, persino la nostra vocazione a essere Suoi imitatori, non si basa sulle nostre capacità, sui nostri talenti, sui nostri doni, sul nostro amore, sulla nostra fede. Tutto questo è molto, molto fragile. Pietro pianse amaramente il giorno che lo scoprì. Le sue lacrime solcavano il suo viso come la pietra solcava il cuore di Giuda. La notte in cui Gesù fu tradito e consegnato, entrò come una spada nelle profonde intenzioni dei Suoi discepoli, di chi gli stava più vicino; e tutti fecero i conti con la radicale insufficienza del proprio amore. Che lezione dura da accettare! Che fatica comprendere che i salvatori del mondo, di nessuno, siamo noi! Come siamo istintivamente indignati di fronte all’annuncio della morte e della vita di Cristo: Dio ci ama e dà tutto per noi senza chiedere in cambio nulla! Giuda non poté accettare un Dio del genere… e quante volte non lo accettiamo nemmeno noi! Ci sforziamo in tutti i modi di meritarci il suo amore. Ma la logica del merito non è quella di Dio. E allora come fare? Il primo e fondamentale dato che la settimana santa ci dischiude è proprio questo: la necessità di lasciarsi amare. Cristo non muore per finta, non si è annullato per giocare a fare il buono. No, il suo annientamento è radicale. Il suo nulla eucaristico è vero. E ci dice che ci ama di un amore che ci precede. Tu non sei amato perché fai cose buone. Tu sei amato da Dio come un Padre ama il Figlio. È questo il Vangelo. Accettare questa logica è la conversione, è la vita nuova in Cristo. Imitatori di Cristo sono coloro che si lasciano chiamare fratelli da Lui e amare dal Padre. Solo da qui parte ogni vero servizio, ogni evangelizzazione, ogni annuncio di vita. Pietro ha accettato la sua insufficienza, il suo non merito, e si è lasciato amare.

Lasciarsi amare, sperimentare nel proprio intimo l’amore gratuito di un Dio che nel Suo Tutto e nella sua infinità si fa nulla, significa, già di per sé, cominciare ad amare il nulla di Dio nell’altro. Che dono meraviglioso! Pensiamo al dialogo tra Pietro e Cristo sul lago di Tiberiade, che sembra la risposta di Gesù al rinnegamento e alle lacrime amare del discepolo. Lì, in quel lago dove tutto sembrava finito, Cristo risorto viene in mezzo ai discepoli, e al più generoso tra loro chiede tre volte mi ami?; all’assenso di Pietro, l’invito è sempre allora pasci le mie pecore, mettiti a servizio degli altri. La direzione della scoperta dell’amore di Dio per me è sempre verso l’altro. Lasciarsi amare non è un passivo contemplare, è incominciare il viaggio dell’amore in cui siamo sempre preceduti, come il mandorlo a primavera, da Cristo. Mi ami? Allora pasci. Hai sperimentato quanto il mio bene è infinito, quanto non ti chiede nulla, quanto ti perdona, quanto va oltre la tua insufficienza? Bene, allora mettiti a servizio. Ecco la Parola di Dio.

Ma, ancora, che significa amare? Lo sappiamo, darsi all’altro. E anche questo ci viene descritto nella festa di oggi. Gesù viene crocifisso. Quel luogo che nell’Antico Testamento è il segno della maledizione di Dio, diventa la porta del Suo amore. E come lo deride il mondo? Come deride il Dio crocifisso chi crede ancora di dover meritare l’Amore? Gridando con malizioso stupore ha salvato gli altri e non salva se stesso! Sì, questo è l’amore. Perdere se stessi e salvare gli altri. Non per eroismo, ma per amore. Come dire, io voglio che tu sia e, per questo, sono disposto a non essere. La Trinità vive di questo. Le nostre comunità possono imparare a farlo, specialmente a scoprirlo in questa settimana.

Davide Penna

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