FRANCESCA, IL VOLONTARIATO IN CARCERE, E LA FRATERNITA’ CON TUTTI – Parte 1a

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Cresciuta fin da ragazza nella spiritualità dell’unità di Chiara Lubich, quando ho iniziato questo servizio, circa 10 anni fa, ho sentito forte il desiderio, forse ingenuo, non solo di poter vivere un’opera di misericordia evangelica, ma di portare tra quelle mura un’esperienza di fraternità con tutti: detenuti, agenti, impiegati, superiori, familiari dei detenuti.

In carcere ognuno è solo nel proprio deserto, vive di ricordi, di speranze, molto spesso con mancanza di affetti, di risposte, di gioie. Il carcere è un luogo carico di dolori, di dubbi, di debolezze; per assurdo, è la stessa umanità che ritroviamo per le strade delle nostre città, ogni giorno: persone libere, ma “prigioniere” di sé stesse e assetate di relazioni vere.

La mia esperienza professionale di cancelleria penale, mi ha portato a vedere il carcere solo come luogo di giusta condanna, di giustizia sociale. Attraverso il volontariato ho imparato a fare un incontro con “persone”, ad avere un respiro più grande, che dà spazio al dialogo, all’ascolto, alla compassione verso tutti i detenuti. Vivo per loro e con loro la mia identità cristiana, alla presenza di Dio in me, e alla forza del suo Spirito, che mi spinge verso la fraternità e l’unità. Così ogni volta che mi incontro con un detenuto lo Spirito mi fa pronta a servirlo alla perfezione, a capire le sue necessità, ad accogliere senza giudizio le sue miserie. Poiché Dio ci ama nel momento presente, peccatori come siamo, non chiedo mai per quale reato sono dentro, ma li accetto così come sono.

Prima di entrare in carcere, passo sempre in cattedrale, dove il Vescovo celebra la messa. Affido tutto al Padre e mi porto via il breve commento del Vescovo sulle letture del giorno. Ricordo ancora questa, che mi ha colpito molto: “l’ultimo giudice dell’agire del cristiano è la propria coscienza”. Ho sentito in me una grande libertà e sono entrata in carcere per viverla.

Nella cartellina trovo tante richieste: colloqui semplici, spedizioni e prelievi di denaro, carte di identità da rinnovare, informazioni da chiedere per cessazioni di Partite Iva, sblocco di erogazione di pensioni (spesso i detenuti sono irreperibili alle comunicazioni degli uffici pubblici, e si interrompe l’accredito di pensioni o altro).

Quella mattina mi si presenta un caso impegnativo: l’urgenza di rinnovare la carta d’identità di un detenuto. Non era stato possibile fargli il prelievo in posta con il vecchio documento, perché era appena scaduto.

Il detenuto era molto arrabbiato e si rivolge a me gridando, perché da mesi nessuno si interessava al suo problema. Le guardie erano in all’erta in corridoio, alcuni detenuti cominciavano ad avvicinarsi. Io vedevo il detenuto per la prima volta, ma ho cercato di calmarlo, promettendogli di farmi subito carico della sua domanda. E così faccio. Vado all’anagrafe. Mi dicono che devo prendere l’appuntamento e se ne parla fra 10 giorni, più altri per le ricerche di rito relative al rinnovo (perché il rilascio precedente lo aveva dato Savona). Il detenuto doveva aspettare ancora!

Potevo ritornare in carcere e dire che c’erano state difficoltà, che bisognava attendere ancora, ma sarebbe stato un nuovo colpo per quell’uomo. La mia coscienza mi suggeriva di insistere, provare ancora a chiedere, pur di avere subito il documento. Mi rivolgo a Dio con fede: “Te lo chiedo, Gesù, per Te in quel detenuto…”. E aspetto con pazienza. Un impiegato mi vede, si avvicina, gli chiedo se può aiutarmi a risolvere il problema. Lui si mette a disposizione, prende la carta d’identità, legge la data di scadenza e poi esclama: “Ma non è scaduta! C’è un decreto legge proprio di questi giorni, che proroga le scadenze di tutti i documenti a settembre 2021, causa Covid!”. La sua carta, che scadeva a marzo 2021, rientrava ancora in quei termini ed era valida!

Torno in carcere e consegno copia del decreto alla Ragioneria, che può finalmente andare in posta con il vecchio documento e ritirare il denaro, che il detenuto ha poi spedito alla sua famiglia. Da quel giorno è venuto regolarmente da me per risolvere  altri piccoli problemi, con grande serenità.

Il giorno di san Valentino, un detenuto mi chiede di comprare tre rose rosse: voleva regalarle alla moglie, al momento del colloquio, e proprio in quello stesso giorno. Esco a comprarle, ma bisogna metterle subito in un secchio d’acqua, per conservarle fino al momento del colloquio. Chiedo aiuto agli agenti, e uno di loro mi prende subito il mazzo di fiori dalle mani, dicendo che ci pensava lui e lo consegna al collega dei colloqui. Non mi fido della sua premura e infatti…. vado a controllare: le rose erano state messe proprio vicino ad una stufetta accesa, e si sarebbero sciupate presto.

Che fare? Penso che in fondo io dovevo solo fare l’acquisto e lo avevo fatto, ma dentro sento il richiamo del Vangelo: “Se la vostra giustizia non sarà superiore a quella degli uomini…”, capivo che per me “fare giustizia” non era tanto non giudicare quell’agente, o dirgli che aveva sbagliato a comportarsi così, ma fare la cosa giusta, cioè permettere al detenuto e a sua moglie, di vivere un momento di gioia con le rose in buono stato. Così riprendo le rose, un agente (che mi aiuta spesso) capisce e mi indica un ripostiglio con secchio e acqua, dove metto le rose, inoltre si impegna anche a darle di persona alla moglie del detenuto, quando sarebbe arrivata in visita. Un tassello di fraternità che si aggiunge nella giornata. L’amore chiama sempre amore.

Anche gli incontri più semplici lasciano dentro tante riflessioni. Un giorno arriva un detenuto, dimostra 70 anni, magro, disorientato. Mi chiede calze, indumenti, ciabatte… Lo hanno arrestato un mese prima sulla spiaggia ed è stato portato in carcere solo con quello che aveva addosso. In questo mese nessuno ha ascoltato i suoi bisogni, né gli aveva detto come doveva fare per avere degli indumenti. Un agente pietoso lo accompagna da me, per rivestirlo un po’.

Quel detenuto mi ha fatto una grande pena, mi ha ricordato il vangelo, Gesù spogliato e trascinato via, come quel detenuto sulla spiaggia. Gli ho dato subito quello che chiedeva e ringraziando è andato via; pareva che si portasse via chissà quale tesoro…

Oppure, ricordo quel giorno che sono andata all’Agenzia delle Entrate per la correzione del codice fiscale di un detenuto. L’impiegata capisce che non sono la persona interessata e mi chiede spiegazioni. Le rispondo che faccio volontariato in carcere, lei mi guarda stupita e mi domanda: “Ma entra proprio dentro dove ci sono i carcerati?”. Sì, certo, rispondo. “Ma parla con loro, li tocca? Come fa?…”. Semplice, parlo con loro proprio come faccio con lei… Ha capito, ed ha continuato a servirmi con maggiore disponibilità.

…. seguirà la parte 2a ….

Francesca M. (volontariato carcere di Chiavari)

Qui PER LA SECONDA PARTE

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Una risposta a “FRANCESCA, IL VOLONTARIATO IN CARCERE, E LA FRATERNITA’ CON TUTTI – Parte 1a”

  1. Grazie, Franca, la tua esperienza mi ha toccato profondamente! E mi aiuterà nel continuare a viverne una per certi aspetti simile!
    Giovanna Poggi

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