Non c’è dubbio che l’espressione “populismo” stia velocemente conquistando uno spazio nel linguaggio di strati sempre più ampi della popolazione. E che il fatto sia soprattutto dovuto all’uso ormai frequente che ne fanno i media, in ciò riflettendo il gergo del mondo politico.
Ma il concetto merita alcune considerazioni. Anche perché, a fronte di chi – almeno in Italia – ne fa esplicitamente la sintesi di un programma sociale e politico, c’è chi definisce “barbari” i suoi fautori. A sua volta il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in una recente intervista televisiva non ha nascosto una certa “preoccupazione” per il risorgere e il diffondersi – ha detto – dei populismi (e dei nazionalismi).
Cos’è dunque il populismo?
Storicamente è un movimento politico e culturale, sorto in Russia verso la metà del secolo XIX, che sotto l’influsso di A.I. Herzen propugnava una rivoluzione socialista fondata sul collettivismo agrario del mir o comunità di villaggio e teorizzava il dovere degli intellettuali di mettersi al servizio del popolo.
In sociologia politica il populismo è un concetto complesso. E’ definito diversamente a seconda degli aspetti da evidenziare. Una definizione di carattere generale, che ha il pregio della chiarezza pur nella fedeltà alla scienza sociologica, afferma che il populismo è una relazione diretta tra le masse e un leader, che porta a quest’ultimo sia la fedeltà delle prime che il loro sostegno attivo nella sua ricerca del potere, e questo in funzione della capacità carismatica del leader di mobilitare la speranza e la fiducia delle masse stesse nella rapida realizzazione delle loro aspettative sociali nel caso in cui egli acquisti un potere sufficiente. L’esperienza dice che il rapporto anzidetto è reso più forte e familiare dall’uso frequente, da parte del leader, di espressioni del linguaggio popolare, non sempre “da salotto”.
Tornando all’aspetto teorico va aggiunto che il populismo non è sempre, per quanto in misura diversa, autoritario. Esso infatti può anche essere democratico e costituzionale (e in questo caso la definizione di cui sopra va adeguatamente ritoccata). Nella sua variante conservatrice, il populismo è infine detto “populismo di destra”.
Sulla base di quanto riferito, non è difficile comprendere come autentici populisti fossero molti dittatori del secolo scorso, compresi Hitler e Mussolini.
E che dire dell’oggi?
Limitandoci all’Italia e alla Francia (ma potremmo naturalmente pensare ad altri Paesi, europei e non solo), populisti di nome o di fatto sono la Lega di Salvini, che si definisce “populista di destra”, il Movimento 5 Stelle di Grillo e il Fronte Nazionale di Marine Le Pen. Come giustamente osservava il cardinale Parolin, i programmi e l’azione politica di queste formazioni – ma chiaramente non solo di esse – contemplano sovente anche una tutela degli interessi nazionali così accentuata da poterli qualificare “nazionalisti”. E (aggiungo io) di qui a costruire dei muri che anche fisicamente ci difendano dall’altro il passo è breve… ”La paura non è mai una buona consigliera”, ha detto ancora il Segretario di Stato vaticano, ripetendo un pensiero di Papa Francesco.
Concludo con una considerazione quasi superflua, perché di tutta evidenza.
Nei populismi anche di diverso tipo c’è sempre “un popolo” (consentitemi l’espressione, usata in senso non tecnico. Ma la parola “massa” non mi piace. E necessiterebbe di inutili puntualizzazioni…), un popolo che fa riferimento a un leader, “si fida” di lui.
Tuttavia la Dottrina sociale cristiana afferma che il sistema politico preferibile e quindi auspicabile è la democrazia. Lo sappiamo, ma non è mai inutile ripeterlo.
“La Chiesa, afferma l’enciclica Centesimus Annus di Giovanni Paolo II al n. 46, apprezza il sistema della democrazia in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico ove ciò risulti opportuno”. Ma per la maturazione di una coscienza conforme all’auspicio della Chiesa è necessario che la crescita della vita democratica prenda già avvio nel tessuto sociale. E chi è convinto di questo dovrebbe, se possibile, impegnarsi in tal senso.
Paolo Venzano