Siamo figli o figliastri dei nostri padri costituenti?
Un po’ di storia…
La Commissione dei Settantacinque, costituita dall’Assemblea costituente il 15 luglio 1946 con lo scopo di redigere il testo della Costituzione repubblicana, era composta da persone appartenenti a diversi gruppi parlamentari (per la precisione: dodici), con prevalenza numerica del gruppo democristiano (con 26 membri) e, a seguire, da quello comunista (con 13 membri) e dai due gruppi di socialisti (con un insieme di 13 componenti).
Ai diversi gruppi apparteneva buona parte dell’intellighentia italiana dell’epoca, unitamente ad eminenti costituzionalisti. Per fare qualche nome possiamo ricordare, fra i democristiani, personaggi giustamente famosi come Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Costantino Mortati, Amintore Fanfani, Egidio Tosato…e, fra i comunisti, Palmiro Togliatti, Nilde Iotti, Umberto Terracini, Giuseppe Di Vittorio, Concetto Marchesi. Fra i socialisti spiccava decisamente il nome di Lelio Basso.
E’ evidente che tale molteplicità e diversità di presenze comportava una realtà di convinzioni e di istanze variegata e determinava un acceso confronto ideale e ideologico. E’ proprio da ascrivere a questo “confronto” il notevole allungamento dei tempi di approvazione del testo costituzionale, approvato solo nel dicembre del 1947, mentre la previsione iniziale era di un paio di mesi di lavoro per l’apposita Commissione.
D’altro lato, se le idee e le proposte dei Costituenti erano differenti, profonda e diffusa era invece la convinzione dell’importanza della fase costituente come appuntamento prezioso per la riedificazione delle istituzioni statali.
In una situazione del genere il contributo del gruppo democratico cristiano (e, in particolare, dei cattolici) è stato determinante. Se la “Carta”, o meglio la prima parte di essa ma non solo, è un autentico “codice di valori”, lo si deve prevalentemente ad essi. E’appena il caso di rammentare che essi avevano però alle spalle tutto un patrimonio anche di vecchia data di approfondimenti e di elaborazioni dottrinali e, per molti aspetti, di realizzazioni concrete in campo sociale (dovute in particolare al grande input dell’enciclica “Rerum Novarum” del 1891): il pensiero di Toniolo e di Sturzo, quello di Maritain e di Mounier (che punta alla persona, superando la concezione individualistica dello Stato liberale e dando una visione articolata della vita sociale), i radiomessaggi di Pio XII, soprattutto quello del 1942, erano alla base del cosiddetto Codice di Camaldoli, redatto fra il settembre 1943 e il maggio del 1944. E’ notoriamente ad esso che, soprattutto, si ispirarono i cattolici della Costituente. Essi cioè si ispirarono al personalismo e al pluralismo sociale e politico per rispondere all’esigenza di trasformazione dei rapporti sociali e di democratizzazione delle istituzioni.
Personalismo e pluralismo: su questi principi (ma ovviamente non solo), tradotti in adeguate norme di legge costituzionale, si era alla fine ottenuta una convergenza delle differenti posizioni ideologiche (riflesso del fatto, aveva osservato Moro, che anche tali ideologie avevano un “comune fondo umano”).
Obiettivo delle righe che seguono sarà quello di verificare se, con la riforma di cui stiamo parlando, il legislatore ha rispettato la volontà dei Costituenti (ai quali tutti fanno ora un ossequioso inchino…), con le variazioni e gli aggiornamenti che i quasi settant’anni trascorsi necessariamente richiedono, per quanto in particolare riguarda il personalismo e il pluralismo, ma anche altri aspetti (fra cui, essenziale, quello riguardante la natura democratica dello Stato).
“Vecchio” e “nuovo” personalismo
Com’è noto, il principio del personalismo è enunciato nell’art. 2, per il quale la Repubblica “riconosce e garantisce i diritti inalienabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…”. Questa disposizione è da intendersi come una solenne affermazione della supremazia della persona umana sullo Stato, tanto che – sostengono alcuni – i diritti dell’uomo (e così le sue libertà fondamentali) costituirebbero un nucleo di disposizioni costituzionali fornite di “forza supercostituzionale”, tali cioè da non poter essere modificate, nella loro essenza, neppure con il procedimento di revisione costituzionale. Per dirla in altri termini, in sede di Assemblea costituente Giuseppe Dossetti affermava che vi è una “precedenza sostanziale” della persona umana rispetto allo Stato e “la destinazione di questo a servizio di quella”.
Accennavo anche alle libertà fondamentali. E’ evidente che i diritti di libertà sono egualmente espressione del principio personalista, a partire da quella libertà personale (art. 13) che è logicamente e storicamente la prima fra tutte le libertà e di cui lo stesso art. 13 afferma l’inviolabilità.
Ma in uno Stato democratico diverse sono, come ben sappiamo, le espressioni di tale libertà (e, come tali, riconosciute dalla nostra Costituzione): quella di associazione, quella di pensiero, quella religiosa…Tuttavia una pregnanza particolare riveste – lo si comprende benissimo – la libertà di partecipare alla gestione del potere. In proposito, in questa sede mi limito a considerare due delle facoltà accordate alla persona-cittadino: quella di proporre referendum e quella dell’iniziativa legislativa, dato che tali “istituti” rientrano fra le modifiche apportate alla nostra Costituzione.
A proposito del referendum, ricordo che il “vecchio” art. 75 stabiliva che esso veniva indetto per l’abrogazione totale o parziale di una legge allorchè lo richiedevano cinquecentomila elettori (o cinque Consigli regionali). Il “nuovo” art. 75 conferma la stessa disposizione e quella secondo cui la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto. Ma aggiunge che se detta proposta è avanzata da ottocentomila elettori basta la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei Deputati. Con un’altra norma di nuova introduzione, l’art. 71 prevede inoltre che “al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione”.
Va ricordato che le modifiche introdotte a proposito del referendum e sopra riferite rispondono ai rilievi ed ai suggerimenti della Corte costituzionale e di molti costituzionalisti.
Per le proposte di legge di iniziativa popolare occorrono ora centocinquantamila richiedenti, mentre in precedenza ne bastavano cinquantamila. Ma si introduce la garanzia (garanzia costituzionale!) della discussione e della deliberazione conclusiva su queste proposte, abolendo l’inveterata prassi parlamentare di ricevere le richieste popolari e di…metterle nel cassetto.
Referendum e iniziativa legislativa popolare: con tali possibilità gli elettori saranno (finalmente!) chiamati a dire non solo “cosa non vogliono”, ma anche “cosa vogliono” dallo Stato italiano.
A conclusione di questo discorso a me pare di poter affermare che se la riforma andrà in porto ne verrà sicuramente potenziata la “libertà di partecipare” alla gestione del potere di cui si diceva più sopra.
“Vecchio” e “nuovo” pluralismo
In base all’art. 2 della Costituzione il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo comporta anche, com’è naturale, il riconoscimento della sua socialità e delle relative espressioni. Da detta norma discende quindi l’art. 18, che – affermando che “i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale” – concreta il riconoscimento di una prima forma di pluralismo, quello sociale.
Non è il caso di spendere molte parole al riguardo (anche perché è ovviamente argomento non toccato dalla riforma). In questo campo, che è anche quello del volontariato, l’Italia è certamente nelle prime file in campo mondiale, tanto che il Terzo settore ha richiesto una (recente) apposita disciplina legislativa.
Qui invece interessa considerare quelle espressioni della socialità che, in uno Stato democratico, i cittadini realizzano per soddisfare i bisogni pubblici non fronteggiabili diversamente (ad es. con le organizzazioni sociali, all’insegna della sussidiarietà), in vista del bene comune. Vi appartengono naturalmente i comuni, le città metropolitane, le regioni e lo Stato, che nel complesso disegnano un pluralismo politico.
Sul Comune bastano poche parole. Perché, pur “compreso” nel Titolo V della II Parte della Costituzione, oggetto dell’ampia riforma, ha conservato le sue funzioni e le modalità del relativo finanziamento.
Può forse interessare a qualcuno ricordare solo che nell’Assemblea costituente si è parlato (e discusso…) a lungo sulle autonomie locali, elemento base di uno Stato istituzionalmente pluralista.
Ritenendole, come di fatto sono, espressione di “comunità locali” di cittadini, si era finito per collocarle fra i “Principi fondamentali “ della Costituzione, all’art. 5. Come affermava Meuccio Ruini – presidente della Commissione dei 75 – in sede appunto di Assemblea costituente, le autonomie locali sono un riconoscimento del valore dell’autogoverno e della crescita della libertà.
E veniamo alla Regione, i cui compiti sono stati profondamente modificati dalla riforma in argomento. Ricordo che, in sede di Assemblea costituente, il dibattito sulla Regione è stato pure lungo e controverso. Per la versione che prevalse mi limito a ricordare il pensiero dei costituzionalisti Mortati e Tosato, secondo cui l’articolazione regionale dello Stato era una delle principali garanzie dello Stato che si andava costituendo, come un potente rafforzamento del suo scheletro a struttura democratica.
Alla regione la Costituzione del ‘48 attribuiva la facoltà di emanare norme di legge in una ventina di materie (fra cui l’assistenza sanitaria e ospedaliera, l’istruzione professionale, l’urbanistica, il turismo, la viabilità, gli acquedotti e i lavori pubblici, l’agricoltura).
La legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, che realizzava la precedente modifica della Costituzione, aveva indicato le competenze esclusive dello Stato, introdotto la “legislazione concorrente” di materie anche importanti, affidandone la competenza legislativa alla Regione nell’ambito dei relativi principi fondamentali determinati dallo Stato, e stabilito infine che spettava alla Regione medesima la potestà legislativa per ogni materia non espressamente riservata allo Stato.
Per tali funzioni si stabiliva che la Regione (e così per le rispettive competenze i Comuni, le Province e le Città metropolitane) avessero autonomia finanziaria di entrate e di spese.
Consegue da quanto sopra che la legge costituzionale n. 3 del 2001 aveva attuato una riforma in senso federalista della nostra Costituzione.
Ma poiché, in questi anni, soprattutto la questione della legislazione concorrente è stata causa di un enorme contenzioso fra Stato e Regioni (tanto che, si stima, tale contenzioso ha praticamente occupato la metà del lavoro svolto dalla Corte costituzionale), la riforma di cui stiamo parlando ha abrogato la disposizione che la introduce. Ha però confermato alle Regioni la potestà legislativa per ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato e ha elencato altre materie di competenza (materie che, in buona parte, coincidono con quelle elencate nella “Carta” del 1948). Ancora, ha stabilito che l’ente Regione può richiedere di poter intervenire in altri campi, qualora l’ente stesso “sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”.
Dunque alla “nuova” Regione sono praticamente ritornate le competenze del ’48, con le citate “aggiunte” che l’esperienza di tanti anni ha suggerito come necessarie od opportune.
Altre importanti modifiche
Come ormai sanno tutti o quasi sanno, prima dell’ultima riforma il Parlamento italiano si componeva di due Camere legislative con parità di poteri. Si parlava quindi di bicameralismo perfetto o paritario che dir si voglia.
Prima di accennare alle modifiche apportate dalla riforma, sembra utile dire due parole sul bicameralismo in generale e sulle decisioni dei Costituenti.
Storicamente il bicameralismo è nato non per rispondere ad esigenze di funzionalità, ma di rappresentatività di ceti sociali diversi (vedi la “Camera alta” e la “Camera bassa” dei vecchi Parlamenti europei).
Successivamente si sono considerate anche le esigenze funzionali, consistenti nella possibilità che una seconda Camera, sul tipo della Chambre de rèflexion francese, possa frenare eventuali “spinte” avventate o troppo innovatrici della prima. Questo però suppone che la seconda Camera differisca per elementi sostanzialmente significativi dalla prima.
In sede di Assemblea costituente Meuccio Ruini giustificò il bicameralismo introdotto con “l’opportunità di doppie e più meditate decisioni”. Furono anche decisi criteri di differenziazione fra le Camere, consistenti nella diversità dell’età per eleggere ed essere eletti, nel numero differente di parlamentari per le due Camere e soprattutto nel collegamento del Senato con le Regioni (“Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale”, art. 57). L’iniziale progetto di Costituzione prevedeva anche che le Regioni eleggessero un terzo dei Senatori.
Col tempo tale bicameralismo, già sostanzialmente paritario per l’insufficienza delle differenziazioni, lo diventò ancora di più per le innovazioni apportate, con gravi danni sotto l’aspetto funzionale (in particolare per la “fiducia” al Governo estesa alle due Camere e per la produzione legislativa). Si sentiva quindi l’esigenza di modificare il sistema.
La soluzione adottata al riguardo con l’ultima riforma conferma il sistema bicamerale per i pregi già indicati dal Ruini, conferisce alla sola Camera dei Deputati il potere di conferire e revocare la fiducia al Governo, elimina la rigida duplicazione dei dibattiti e delle decisioni parlamentari, causa di eccessive lungaggini e riserva ai Deputati la prevalenza della funzione legislativa, senza precludere ai Senatori la facoltà di intervenire nel procedimento legislativo a seguito di richiesta di una parte anche limitata dei componenti il Senato.
Ancora. Sappiamo che il Senato (ora ridotto a 100 componenti, dai 315 iniziali) sarà quasi completamente composto da consiglieri regionali. E ciò “in conformità alle scelte espresse dagli elettori”. Verrà in tal modo introdotta una “qualche” funzione di rappresentanza delle Regioni e di raccordo fra il legislatore regionale e quello statale, in sostanziale linea con la volontà già espressa dall’Assemblea costituente.
Circa la funzione legislativa, già s’è detto che la riforma ne assegna di fatto l’esercizio alla Camera dei Deputati, ponendo fine al bicameralismo perfetto. Il Senato concorre infatti a tale funzione solo in determinati casi. E’ però disposto che ogni disegno di legge approvato dalla Camera venga trasmesso al Senato che, su richiesta di un terzo dei suoi componenti ed entro dieci giorni, può deliberare di esaminarlo (entro i successivi trenta giorni). Sugli eventuali ritocchi del Senato decide in via definitiva la Camera.
Per quanto attiene al Governo mi limito a rilevare che la riforma:
- dispone che la delega che gli consente di emanare decreti aventi forza di legge ordinaria dev’essere d’ora in avanti “disposta con legge”. Più in generale, il potere governativo in materia è rigorosamente disciplinato (per cui, ad esempio, il Governo non può continuare a “reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge”);
- prevede che il Governo possa richiedere una via preferenziale per l’approvazione di un disegno di legge “essenziale per l’attuazione del programma di governo”;
- stabilisce che per la “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica” ovvero per la “tutela dell’interesse nazionale” la legge dello Stato, su proposta del Governo, può intervenire in materie non attribuite alla competenza esclusiva dello Stato medesimo (è la cosiddetta “clausola di garanzia”).
Ebbene io non penso che disposizioni come quelle sopra riferite – anche se “sommate” al potere che, se non modificata, darà la legge elettorale dell’Italicum al vincitore delle elezioni per la Camera dei Deputati, per via del “premio di maggioranza” – configurino uno Stato che conferisce uno strapotere all’Esecutivo e limita la democrazia e la libertà di “partecipare” ai cittadini ed agli enti. Si tratta infatti, chiaramente, di disposizioni logiche e che concorrono al migliore, più veloce e più efficace funzionamento delle più importanti istituzioni pubbliche.
Mi avvio alla conclusione, ringraziando chi mi ha seguito sin qui: è una persona coraggiosa…
Ricordo solo che la riforma accentua il “quorum” per l’elezione del Capo dello Stato (per il suo essenziale ruolo di garanzia costituzionale) e realizza risparmi per il bilancio dello Stato (dovuti non solo alla cancellazione delle Province, del CNEL, alla riduzione del numero dei Senatori e ad altro, ma anche e soprattutto alla prevedibile e drastica riduzione del contenzioso fra Stato e Regioni).
Di fronte a quanto detto, sopra e nelle pagine precedenti, assumono a mio avviso un valore relativo le osservazioni e le critiche di varia natura, anche se fondate (concordo anch’io sul fatto, per fare un solo esempio, che il “nuovo” art. 70, sulla formazione delle leggi, dovrebbe essere formalmente riscritto. Ma nulla vieta di farlo in seguito…). Osservazioni e critiche che, in ogni caso, non giustificano il rigetto della riforma.
Prima di scrivere le parole “The end” (l’inglese è di moda…) vi riferisco una considerazione che “ho concepito” rileggendo la Costituzione. La XVIII fra le “Disposizioni transitorie e finali” della Costituzione stessa dice che il testo del Documento doveva restare esposto per tutto l’anno 1948 in ogni Sala comunale d’Italia affinchè ogni cittadino potesse “prenderne cognizione”. Chissà quanti ne avevano poi preso cognizione…Ma, in questi ultimi mesi, sicuramente molti Italiani hanno conosciuto qualcosa di più della nostra legge fondamentale. E, almeno questo, è un aspetto positivo!
A questo punto siamo in grado di dare una risposta al quesito del titolo. Poiché il DNA della riforma coincide con quello della Costituzione consegnataci dall’Assemblea costituente, la scienza (giuridica) assicura che non esistono dubbi sul fatto che i “riformatori”, pur con non pochi difetti, sono comunque “figli” dei nostri Padri costituenti. Questo, per lo meno, è il mio parere.
Paolo Venzano
Grazie Paolo. Condivido perfettamente quello che hai scritto e ne farò tesoro
Sebastiano
Dopo aver dato (ieri sera) una veloce occhiata all’articolo di Paolo, ho voluto provare a leggerlo stasera, se non altro per “rispetto” a lui per il grosso lavoro che ha fatto, nell’evidente intento di fornire elementi di valutazione, pur visti, logicamente, dal suo angolo visuale: e per questo sento il dovere di ringraziarlo.
Nella fase conclusiva del suo discorso, Paolo definisce “coraggiosa” la persona che ha cercato di seguirlo: confesso che ho fatto fatica a capire questa materia così complessa, anche se, come cittadino, dovrei interessarmene meglio e di più…
Grazie comunque a questo fratello così impegnato e tenace!
Agostino
Grazie Paolo. Gran bel lavoro. Hai toccato i punti più importanti della legge costituzionale, ma hai dimenticato di ricordare che i nuovi senatori godrebbero dell’immunità parlamentare. Perché ? a che scopo ? Inoltre non ho ancora capito da chi verrebbero sostituiti i consiglieri e i sindaci che diventerebbero senatori. Avrebbero il doppio incarico ?
Grazie se avrai voglia e tempo di rispondere.
Salvatore
Carissimo Sandor,
ti confermo che, se passa la riforma, i 95 senatori eletti dai Consigli regionali avranno anche, come parlamentari, la relativa “immunità”. E questo farebbe sorgere sicuramente alcune questioni: ad esempio, se dovessero essere indagati, sarebbe difficile distinguere l’attività da loro svolta come sindaci o consiglieri regionali da quella svolta come senatori. Ma a mio giudizio la riforma va vista nel suo complesso. E valutata come strumento idoneo, o meno, ad affrontare i grossi problemi che da anni travagliano il nostro Paese (proprio come fa Alberto Ferrucci nel suo scritto). Senza considerare che la riforma stessa, anche se passa, può essere perfezionata: ricordiamoci che la precedente riforma è di soli quindici anni fa ( e che un’altra, “non passata” al referendum, era stata proposta nel 2006). Paolo Venzano
Ho dimenticato di dire, rispondendo alle tue domande, che i sindaci e i consiglieri regionali eletti restano tali e quindi aggiungono la nuova funzione di senatori a quella precedente. E questo è stato oggetto di ulteriori critiche. Ma anche al riguardo valgono le considerazioni precedenti: la Costituzione non è Vangelo.. Paolo
Grazie Paolo. Come sempre puntualissimo.
Ti saluto caramente.
S.
IO VOTO NO. Io credo che in tanti non si rendano conto che questa ” riforma”(…..) ha dei contenuti NON scritti,per intenti perseguiti e per logiche e volute conseguenze,per ottenere come unico vero risultato la PERDITA DEL DIRITTO E DEL SIGNIFICATO DEL VOTO DEI CITTADINI.E’ così. In quanto va vista in ” combinato disposto”,con la (apposita !)legge elettorale Italicum,per effetto del quale, il 54% della Camera e’ di un PARTITO/LISTA sola, e con il 60% dei deputati NOMINATI
.Altro che votati.Ci illuderemmo di scegliere,ma sceglieremmo chi sara’ prima scelto da loro! E il Senato-comparsa ,non potra’ opporsi e fare da contrappeso; una combriccola di dopolavoristi CONTA-ZERO.Pero’ con l’immunita’ parlamentare ! Prima si invocava il decentramento amministrativo per le lungaggini dello stato centralizzato, ed ora si torna indietro??? E non e’ sospetto un governo che cerca di IMPORRE un cambiamento in modo NON trasparente,(diciamo pure in mala fede e disonesto ) e NON SUPER PARTES come dovrebbe essere), con “regali ” , promesse mirabolanti,ecc ecc, formulatore di un QUESITO REFERENDARIO (senza spacchettamento !)con una risposta subdolamente pilotata?La cosa piu’ seria (!!!) che ho sentito e’ che “non e’ una riforma perfetta” ma tanto per cominciare…Per cominciare cosa?? La Costituzione e’ la casa di tutti!si cambia caso mai in modo VOLUTO e CONDIVISO da tutti,non si impone un inganno per favorire una DITTATURA quale sarebbe se vincesse il si! Chi ha “ispirato” questa ehm..iniziativa, che si sappia, e’ la JP MORGAN,banca potentissima, responsabile,(con la truffa dei mutui subprime,)di questa crisi finanziaria;si vada a leggere il loro REPORT 2013 in Internet; e’ la fotocopia di questa schiforma,identica anche al documento “Rinascita Democratica” di Licio Gelli!! Schiavi del sistema bancario !!Il perseguire una riforma che elimini i necessari e democratici contrappesi giuridici, significa mettere il potere legislativo nelle mani del Governo-premier,con ogni potere che conta nelle mani di un uomo solo!Come 80 anni fa. E questa e’ dittatura, moderna,ma,di fatto,dittatura. Si legga invece “Le Radici della Costituzione”, di G. Dossetti, padre costituente,( non proprio un Verdini qualunque..);raccomanda “pesi e contrappesi”, e che nessuna riforma li cancelli ! In ultimo : per approvare il Lodo Alfano ci sono voluti 19 giorni, per La legge Fornero altrettanti, per la legge sul finanziamento dei partiti tre!Per la legge anti corruzione 1453 giorni! E’ l’uomo che deve cambiare,i sistemi sono secondari! VOTARE NO e’ un servizio al bene comune,di rispetto PER LE FUTURE GENERAZIONI ; se possiamo,e potranno scegliere i loro rappresentanti, sara’ proprio grazie a questa Costituzione ! E mi chiedo anche : Chiara, sopravissuta alla seconda guerra mondialeed al regime di un uomo solo….chissa’ come la penserebbe.. Buona votazione a tutti.
Carissimo Paolo,
avevo già letto il tuo intervento, ma ho voluto andare a riguardarle a ridosso della data delle votazioni. Lo trovo davvero molto equilibrato, donato da una persona che, oltre ad essere un grande esperto della Costituzione, ha in cuore davvero il futuro di questa nostra amata Italia.
Ti ringrazio davvero perchè mi hai rinfrescato una serie di considerazioni oggettive, la scarsa conoscenza delle quali mi aveva in passato portato a propendere per il no, decisione che ho cambiato a seguito del tuo intervento, di quello di Alberto Lo Presti e di Alberto Ferrucci.
Grazie ancora per la tua sensibilità.
Roberto Zanovello
Cari amici, il Movimento Politico per l’Unità in tutti questi anni ha lanciato diverse idee molto condivisibili, ricordo in particolare qualche anno fà che sottolineava l’esigenza di riconsegnare al popolo la sovranità popolare già sancita dall’art. 1 della costituzione Italiana, queste riforme costituzionali a mio giudizio non vanno a favore di uno stato più democratico, ma con la “scusa” di garantire più stabilità riducono la nostra sovranità in linea con le più recenti leggi elettorali, poi sarà un bene avere un parlamento dove sarà più veloce legiferare a favore di leggi sull’aborto sempre più libero ? leggi che permettono adozione a persone dello stesso sesso ? Leggi che mettono in serio pericolo la famiglia e la libertà di educazione. Accentrare il potere nelle mani del partito che, vicendo le elezioni con un margine anche minimo, controllerà sia il Governo che l’unica Camera del Parlamento che dovrà votare la fiducia all’Esecutivo, è una manna per tutte le lobby che ogni giorno provano a far approvare in fretta e sotto banco le peggiori leggi contro la vita, come l’eutanasia, contro la famiglia, come il matrimonio gay e l’utero in affitto, e contro la libertà educativa, come l’ora scolastica di Gender nelle scuole ! E’ questo che vogliamo ? Se è questo allora credo sia giusto votare SI anche se un buon cristiano, a mio avviso, alla luce di tutto questo dovrebbe votare NO. Concludo con un pensiero di Igino Giordani che sosteneva che se in una democrazia vengono tolti i principi cristiani questa si trasforma in una feroce dittatura. Nicola Fenelli