OPINIONI – PANDEMIA E SOLIDARIETA’ TRA GLI UOMINI

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Non è proprio il caso di aprire i libri di scuola (anche se siamo a casa…) per confermarci nella convinzione che l’uomo è a volte un lupo feroce nei confronti dei suoi simili (homo homini lupus, e cioè l’uomo è appunto un lupo per l’altro uomo, diceva anche il filosofo inglese Thomas Hobbes), un lupo rapace che spesso tende a sottrarre lo stesso spazio vitale agli altri (l’aiuola che ci fa tanto feroci, scriveva Dante). E ciò da sempre. Da quando cioè Caino alzò la mano su Abele…Ma l’uomo è anche quell’essere che, per salvare altri uomini, in questi mesi ha dato la vita per loro. E allora? Lasciamo pure che specialisti diversi (e cioè antropologi, sociologi, psicologi sociali, teologi…) diano ancora i loro diversi contributi alla comprensione della complessa natura dell’uomo. Sarà certo una cosa utile.

In questa sede io vorrei solo riflettere su questo secondo aspetto della natura umana. In altri termini sul fatto che ultimamente in Italia e nel mondo è nuovamente scattata la solidarietà, come a dire quella volontà di aiuto che emerge dentro di noi in occasione di determinati eventi. Ma, siccome in ogni società esiste sempre chi non si allinea, ecco che le comunità giunte a un dato stadio di sviluppo e di organizzazione hanno reso obbligatoria la solidarietà.

Nelle righe seguenti proverò a dire, sommariamente, se e come risulta disciplinato il sentimento in parola in Italia, in Europa e nel mondo (e questo perché potrà forse risultare utile, oggi o domani, a qualche lettore di buona volontà…).

Nel nostro Paese l’art. 2 della Costituzione, spesso richiamato anche dai media, prescrive che “…la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” da parte dei cittadini. E’ appena il caso di rilevare, in proposito, che tale solidarietà in Italia si rivelerà a lungo necessaria e che da ciò consegue l’esigenza di un profondo esame di coscienza per ciascuno di noi.

Se passiamo all’Europa, il pensiero corre subito all’Unione Europea. Ed è proprio di questi tempi (era il 9 maggio del 1950) la famosa “Dichiarazione” con la quale il ministro degli esteri francese Robert Schuman, in una solenne, storica Assemblea asseriva che la “nuova Europa” sarebbe sorta a partire da “realizzazioni concrete”, che creassero una “solidarietà di fatto”. E, tanto per cominciare, proponeva di associare i diversi Stati europei produttori di carbone ed acciaio in un’unica, apposita Comunità. Sappiamo che il suo appello fu così convincente che, di lì a poco, sarebbe nata la CECA o Comunità europea del carbone e dell’acciaio e, negli anni, l’Unione Europea. Schuman, politico cristiano “coi piedi per terra”, avrebbe poi coinvolto nell’avventura europea il tedesco Adenauer e l’italiano De Gasperi, che la pensavano allo stesso modo. Va notato che a Schuman interessava soprattutto la pace in Europa (e in particolare la pace fra gli storici nemici, la Germania e la Francia). E nel 2012 l’ardente desiderio di Schuman fu premiato con l’attribuzione del premio Nobel per la pace all’Unione Europea.

E’ noto a tutti che la vita dell’Unione Europea è regolata da una congerie di norme nella quale, a volte, è difficile districarsi. Ma anche la solidarietà vi trova posto. Infatti il Trattato di Lisbona sull’Unione Europea (o TUE, firmato nel 2007 ed entrato in vigore alla fine del 2009) afferma testualmente (art. 3) che “l’Unione promuove la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli Stati membri”, mentre il Trattato sul funzionamento dell’Unione (o TFUE), che fa pure parte del Trattato di Lisbona, contiene una clausola (l’art.222) che impone agli Stati europei di agire “in uno spirito di solidarietà”, con tutti i mezzi possibili, in caso di richiesta di aiuto per “calamità naturali”. Questa clausola sembra fatta per l’oggi. Ma l’atteggiamento ostile verso l’Italia di alcuni Paesi europei, specie del Nord Europa, hanno recentemente ignorato tale pregnante disposizione.

E veniamo all’ambito internazionale. Se la “pandemia da Coronavirus” è una malattia diffusa a livello mondiale, con potenziale aggravamento in alcuni Stati e continenti, una logica elementare esigerebbe che un’autorità con poteri effettivi ed altrettanto estesi intervenisse tempestivamente a tutela dell’intera umanità. Ma di fatto un’autorità del genere attualmente non esiste. Eppure il Magistero sociale della Chiesa ne aveva più volte suggerito l’introduzione. Affermava ad esempio l’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, nell’aprile del 1963: “Analogamente a quanto spetta all’autorità politica dei singoli Stati, i poteri pubblici della comunità mondiale devono affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il bene comune universale; problemi che per la loro ampiezza, complessità ed urgenza i poteri pubblici delle singole comunità politiche non sono in grado di affrontare con prospettive di soluzioni positive” (n. 74). E ciò, appunto, in vista del “bene comune universale”. Ma nel caso anzidetto (come, purtroppo, in numerosi altri) la voce della Chiesa è stata ed è la classica vox clamans in deserto.

E’ ben vero che tra gli scopi dell’ONU c’è anche quello di “promuovere la cooperazione economica e sociale” (ciò che ha consentito in molti casi, e come tutti sanno, interventi di peso diverso all’insegna proprio della solidarietà). Ma gli egoismi nazionali e le divisione fra gli Stati rendono attualmente impensabile che le Nazioni Unite e il relativo Consiglio di Sicurezza – e cioè il “governo” delle stesse – direttamente o attraverso gli organismi specializzati pongano in essere azioni adeguate a fronteggiare molte questioni di pur gravissima e globale importanza (tipo la fame nel mondo, il degrado climatico e ambientale, e via dicendo) e quindi anche un pericolo che pure incombe sull’umanità tutta intera, qual è appunto la pandemia. In particolare l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), di cui pure parlano frequentemente i media, è un semplice organo consultivo, che fornisce pareri all’ONU e non ha l’autorità di intervenire direttamente.

Cominciamo allora noi cristiani. Come insegna Chiara Lubich (“La dottrina Spirituale”, pag. 383) “Gesù ci chiede un amore capace di farsi dialogo, cioè un amore che… sappia aprirsi verso tutti e collaborare con tutte le persone di buona volontà”). Potranno in tal modo seguirci uomini retti e uomini politici che, sentendo nelle loro coscienze l’appello al bene comune, promuovano quelle riforme degli organismi internazionali, ora anche difficilmente immaginabili, che consentano i necessari interventi a favore di una effettiva solidarietà universale.

Paolo Venzano

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