VERITA’ E AMORE: ECCO GIACINTO !!

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Giacinto Domenichini, 29 marzo 1924 – 24 novembre 2020

“Come emerso da alcuni primi flash e dall’articolo riportati su questo Sito, può essere già abbastanza chiara la figura del nostro caro Giacinto. Abbiamo comunque chiesto a Paolo Venzano, che lo ha conosciuto fin dagli anni ’70, che ci raccontasse qualcosa di questo fratello. Redatto col suo inconfondibile stile, ecco il contributo di Paolo”.  ( PER I FLASH E ARTICOLO PRECEDENTE -CliccaQui)


Giacinto Domenichini era nato a Santiago del Cile il 29 marzo del 1924. Suo padre, di origine italiana, in Cile si era “fatta una posizione” e aveva sposato una giovane di lingua ed etnia cilena. Considerato che la situazione economica lo consentiva, dopo le scuole superiori il figlio Giacinto -intelligente e volitivo- si era iscritto alla Facoltà di Medicina della locale Università, ma, prima del termine degli studi (ricordati poi sempre con vivo apprezzamento), sarebbe venuto in Italia per sottrarsi ai rischi di un periodo di turbolenza politica.

Siamo alla fine degli anni ’40 del secolo scorso. Giacinto ha modo di concludere il corso di laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Genova (dopo aver stabilito la sua residenza nella frazione di Riva Trigoso del Comune di Sestri Levante). E presso la stessa Facoltà conosce Gino Parodi, poi medico specializzatosi in Odontoiatria. Con lui, residente tra l’altro nel vicino Comune di Chiavari, stabilirà un’amicizia fraterna, che durerà tutta la vita.

Nel Levante ligure Giacinto si sposa con Mariuccia Costa, una ragazza bella e adeguata sotto ogni aspetto (anche culturale). E dal matrimonio sarebbero arrivati i figli Paolo, Francesco, Giuseppe e Victoria.

A Riva Trigoso Giacinto aveva la residenza, la famiglia, lo studio e il lavoro (come medico di fabbrica dei locali Cantieri del Tirreno, grande azienda della Fincantieri, e come medico di famiglia nel Sestrese). E anche lì frequentava la parrocchia e la chiesa di S. Pietro, adiacente ai Cantieri.

Già s’è detto dell’intelligenza di Giacinto. Preciso che si trattava di una grande intelligenza, associata a una notevole forza di volontà. Giacinto era poi anche da giovane un credente. E già da allora poteva definirsi un vero cristiano se -per dirla con don Bosco- il vero cristiano è un uomo che ha la fede, ma è anche umanamente realizzato. Una prima conseguenza di questa integrale realizzazione è la coerenza tra la Fede e la vita, una coerenza che comporta l’osservanza delle norme morali della giustizia e della carità, ma… nella verità (non ci viene in mente l’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI e l’asserzione, contenuta nel paragrafo 3, secondo cui “solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta”?). E’proprio a motivo della verità che possono dirsi le cose che seguono, certamente col… “benestare” di Giacinto. Se dunque, da un lato, egli era ammirato e ben voluto da tanta gente, che ne apprezzava la preparazione, la totale disponibilità e l’impegno, dall’altro lato, e cioè per altri, il medico Domenichini era malvisto per l’asserita, eccessiva rigidità morale. Per esemplificare, se una persona gli avesse chiesto (come ovviamente capitava) “un po’ di mutua” perché diceva di “non sentirsi bene”, o per una lieve lesione procuratasi sul lavoro, ebbene non sempre Giacinto gliela avrebbe accordata. Perchè non lo riteneva (e obiettivamente non era…) giusto! E lo stesso va detto per la richiesta di un suo certificato di malattia, in realtà finalizzato, per fare un altro esempio, a scopi diversi, sia pure utili all’interessato…

Ma va anche detto che se qualcuno poteva maturare sentimenti di avversione verso di lui per le ragioni accennate, c’è da pensare che a un più sereno giudizio non potesse negare la serietà, l’impegno e -diciamolo pure- l’amore verso gli altri di quel medico. Come quell’operaio ventiquattrenne dei Cantieri che, stando vicino a un utensile in movimento rotatorio, fu agganciato alla tuta e iniziò a ruotare con la macchina, sbattendo le gambe sul pavimento e ferendosi seriamente al torace. Le circostanze portarono anche quell’operaio –che risponde al nome di Pierangelo Tassano– ad incontrare il Movimento dei Focolari e la sua spiritualità, così come si dirà per Giacinto. Ma in ogni caso nessuno avrebbe mai potuto cancellare dal suo pur confuso ricordo l’immagine di quel medico che, chino su di lui come il Buon Samaritano, dava l’anima per tamponare le ferite e per salvargli la vita!

Si diceva prima che Giacinto aveva un’attenzione particolare per la verità (o per quella che lui, in coscienza, riteneva tale). E questa attenzione si moltiplicò allorchè venne a conoscere e poi ad approfondire la vita di un suo illustre “collega”, e cioè di San Giuseppe Moscati, il medico e professore di Napoli, alla cui canonizzazione in San Pietro da parte di San Giovanni Paolo II, nel 1987, partecipò con la moglie Mariuccia. Moscati era detto “il medico dei poveri”. Ma a Giacinto non era certo sfuggita questa raccomandazione del “collega”: “Ama la verità, mostrati qual sei, senza infingimenti, senza paure e senza riguardi…E se la verità ti costa tormento, tu sopportalo”!

E’ lo stesso amore alla verità che lo portò, verso la metà degli anni sessanta del Novecento, ad aderire con Gino Parodi alla spiritualità dell’unità che era allora vissuta da poche persone sull’esempio di alcuni sacerdoti che in seguito, scopertamente, si dissero aderenti al Movimento dei Focolari.

Giacinto era stato inizialmente affascinato dalla vicenda esistenziale di Chiara (“come lei dobbiamo dire il nostro “sì”, diceva spesso) e dalle esperienze fatte da lei e dalle sue prime compagne nell’immediato Dopoguerra. Nel suo stato di vita cercava di imitarle. Ma avrebbe poi abbracciato integralmente la spiritualità del Movimento dei Focolari, accettando di aderirvi e di vivere con la consueta coerenza quale “interno” nella “branca dei volontari”. In proposito merita una sottolineatura il suo impegno in Umanità Nuova, impegno che non si limitava all’esemplarità nella professione, ma spaziava ai fatti salienti dell’attualità, e sia nel campo culturale che in quello economico-sociale e politico. In tal modo avrebbe vissuto finchè le forze psico-fisiche glielo avrebbero consentito.

Per concludere su quanto attiene la ricerca della verità da parte di Giacinto non si possono trascurare, quanto meno, le sue esperienze sul fenomeno Medjugorje e sulla vicenda della Beata Speranza di Gesù, fondatrice di congregazioni religiose e promotrice della costruzione del Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza.

Giacinto era stato a Medjugorje, aveva assistito di persona a episodi eccezionali dal punto di vista medico ed era stato conquistato dal noto clima spirituale della piccola località della Bosnia-Erzegovina.

Circa la spiritualità della Beata Speranza, più nota come Madre Speranza, Giacinto un giorno mi informò che era stato a Rapallo a sentire una giovane religiosa appartenente alle Ancelle dell’Amore Misericordioso di Madre Speranza, religiosa che veniva appositamente da Roma per “spiegare” a un gruppo di persone del posto “come si mette in pratica” il Catechismo della Chiesa cattolica, comunicando le esperienze fatte al riguardo dalla sua Congregazione religiosa. Giacinto rimase conquistato da tali discorsi ed esperienze, tanto da collaborare attivamente ai viaggi di quella suora e di altre sue consorelle in varie parti d’Italia.

(Aggiungo che Giacinto ha fatto sicuramente molte altre esperienze, anche importanti, ma non ne parlò mai per umiltà e per modestia. Quelle di cui ho parlato me le “confidò riservatamente” con l’implicita finalità, io penso, di coinvolgermi in esse).

Cambiamo ora registro e occupiamoci della carità di Giacinto.

La citata enciclica “Caritas in veritate” afferma che, se è vero che la carità per essere tale deve essere vissuta nella verità, è altrettanto vera la proposizione inversa e cioè che, come dice San Paolo, la conoscenza della verità porta all’esercizio della carità (“Veritas in caritate”, par.2). E Giacinto viveva ogni giorno la carità…

Ricordiamo allora alcuni fatti che esorbitano dalla vita ordinaria e che attestano un esercizio straordinario di tale virtù.

Fino a quando gli è stato possibile, non alloggiando presso i figli, Giacinto ha sempre ospitato qualche singola persona ovvero qualche famiglia, italiana o straniera, presso la sua abitazione di Riva Trigoso. Allo scopo aveva anche utilizzato parte dello studio medico, sito in locali diversi da quelli della residenza.

Tenendo conto attentamente delle esigenze della giustizia e della carità verso i congiunti e non solo, Giacinto “calcolava” ogni mese il “superfluo” e, in quest’ambito, la percentuale da destinare al Movimento dei Focolari e la porzione da utilizzare per le “sue” opere di carità. In proposito va ripetuto quanto prima accennato, e cioè che normalmente di queste opere si ignorava l’esistenza. E si veniva a conoscerle solamente ogni qualvolta la notizia potesse avere una qualche utilità per tutti o per qualcuno. A chi scrive aveva ad esempio confidato di aver collaborato economicamente con i missionari Cappuccini in Africa per la costruzione di numerosi pozzi in zone assetate d’acqua. Aveva invece ritenuto di informare i “compagni di nucleo” dei suoi viaggi nelle Ande cilene, su aerei traballanti, per portare ogni possibile soccorso a una specie di cittadella dove un missionario siciliano, con l’aiuto di alcune suore e di volontari del posto e di diversa provenienza europea, aveva accolto bambini e bambine già letteralmente “venduti” (come avevo personalmente accertato da documenti da lui fornitimi) a sfruttatori locali dalle poverissime famiglie di provenienza. Giacinto sorrideva di gusto quando poi ricordava i festeggiamenti ricevuti dai bambini per l’arrivo del “doctòr”!

Carissimo, simpatico Giacinto!

Fermiamoci qui. Ma, prima di concludere, un’annotazione quasi superflua. In queste pagine si è esplicitamente parlato dell’amore alla verità e della grande carità di Giacinto. E’però evidente che, comportandosi in tal modo, egli viveva anche le altre virtù, da quelle teologali della fede e della speranza a quelle cardinali della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza.

Anche per Giacinto, che pure dava molta importanza alla scienza, le ultime parole sulla sua vita possono poi essere quelle scritte a suo tempo per il medico San Giuseppe Moscati: “Giacinto Domenichini si dedicò all’assistenza dei sofferenti, curandoli gratuitamente se necessario e anche aiutandoli economicamente. E a chi gli avesse chiesto cosa pensava della scienza, anche medica, rispondeva che una sola scienza è “scienza fondata sulla Verità”: quella rivelataci da nostro Signore Gesù Cristo”!

A cura di Paolo Venzano (07 dicembre 2020)

 


Segue Articolo del Secolo XIX del 01.12.2020:

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