Conoscere il diritto altrui, volerlo come proprio, mantenerlo contro noi stessi spezzando l’egoismo, è la giustizia. (Alcide De Gasperi, Diari 1916).
Eccoci, finalmente, giunti al fatidico 4 marzo, al termine di una lunga e difficile campagna elettorale. I toni sono stati alti, i momenti di ascolto forse troppo pochi. Come in tutti i momenti di straordinaria incertezza e quindi di povertà di visione sul futuro, (che in sé non è per forza un male, potrebbe aprirci di più e meglio alla necessità dell’ascolto dell’altro), il rischio grande è quello di vedere le elezioni politiche come un momento troppo decisivo, assolutamente e inderogabilmente unico per il futuro del paese. Non è così, e provo a spiegare perché.
La partecipazione è il sale della società civile. Il grado di salute di una democrazia è dato dal grado di partecipazione e responsabilizzazione dei propri cittadini. Questo significa che la politica non può essere ridotta a oggetto di consumo. Dunque, ascoltare, dubitare, scegliere e partecipare; queste mi sembrano essere le quattro parole dell’autentico impegno politico che non si esplicita, per forza, in una candidatura. Ogni cittadino, in quanto tale, fa politica nel senso ampio e vero del termine, ovvero di costruzione relazionale del bene comune. Costruzione, perché il bene comune non è dato per sempre e una volta per tutte; relazionale perché, essendo comune, il bene non può dipendere da una sola visione o idea. Se è così, la politica non è uno scontro tra buoni e cattivi, tra bene e male, tra coloro che appoggiano il messia e chi sostiene l’anticristo. Chi ha questa visione si pone al di fuori della politica, alla luce di quelli che Karol Wojtyla definiva i messianismi secolarizzati, e che rappresentano sempre il vero pericolo. Oggi in particolare perché mi sembra che tale atteggiamento non appartenga non solo ad un partito o movimento, ma è una dinamica trasversale ai diversi schieramenti, a volte anche quelli più moderati. Ribellarsi alla logica del messianismo secolarizzato è essere consapevoli che la “salvezza”, la capacità di una società di costruire il bene comune, dipende dalla responsabilità di ogni cittadino, dal suo vivere la società civile come faticosa ma straordinaria occasione per costruire giustizia, fraternità, riconoscimento della dignità di ogni uomo. La politica, allora, non è un panino da mangiare e buttare se non si trova di proprio gradimento, ma, come ogni attività umana, è relazione e, dunque, capacità di ascolto, di far entrare l’altro in sé e di entrare nell’altro. E solo da qui può essere luogo di vera e autentica decisione.
Se la decisione, allora, nasce dall’esperienza della relazione, la scelta dell’altro non può ridursi a fatto da giudicare; è molto, molto di più. La scelta dell’altro diventa occasione per conoscerlo meglio, per entrare in lui, facendo entrare dentro di sé le sue esperienze e le sue valutazioni. In questo entrare, si può scorgere qualcosa su cui non si è d’accordo, ma non può essere un’esperienza che lascia uguali a prima. Vedere il mondo nell’altro, è sempre un’esperienza di conversione e cambiamento. Per questo il voto è importante, ma non è tutto. Da domani l’Italia avrà bisogno di milioni di cittadini pronti ad ascoltare, soprattutto chi sta peggio, e a capire, quasi profeticamente, come darsi per migliorare il futuro. Utopia? Può essere, ma è una strada che, per quanto ideale, forse astratta, è altrettanto necessaria e urgente. Nel periodo di profonda disuguaglianza economica e sociale che si sta profilando, c’è bisogno di martiri dell’impegno politico, nel senso che ho provato a esplicitare poco sopra; uomini e donne capaci di testimoniare che le scelte sono discutibili e sacre perché la politica non è uno spettacolo in cui nominare gli eletti da tenere o sbattere fuori da una casa-reality, ma è una relazione profonda tra diversi-uguali. Diversi in quanto ognuno di noi è chiamato al proprio insostituibile contributo nel poliedrico mondo che ci è stato donato; uguali perché, da notare non senza una certa meraviglia, capaci di vivere la nostra diversità solo se disposti a riconoscere la dignità dell’altro. Allora la fraternità non è più un’opzione ma un fondamento della politica e della vita sociale.
Tutto questo per dire: buon voto. Questo vuole essere un piccolo appello, echeggiando umilmente il manifesto di sturziana memoria, ai liberi e ai forti. Aggiungiamo, nel 2018, ai responsabili. Ovvero a coloro che sanno rispondere di sé, delle proprie idee e scelte e, solo per questo, rispettare, di più, ascoltare, di più, entrare nell’altro. Oggi non salveremo né danneremo l’Italia. Daremo il nostro unico e insostituibile contributo per continuare, da domani, a costruirla.
Davide Penna