“Intanto voce fu per me udita:
Onorate l’altissimo poeta,
l’ombra sua torna, ch’era dipartita” (Inf. IV, 79 – 81)
Nella nota terzina dell’Inferno, Dante Alighieri (Firenze 1265 – Ravenna 1321) rende omaggio al poeta latino Virgilio. Ma nella Lettera apostolica “Altissimi cantus” del 1965 il pontefice Paolo VI, con lo stesso invito a “onorare l’altissimo poeta” sollecita invece a conferire un doveroso tributo all’Autore di quei versi. Eravamo nel VII centenario della sua nascita.
Uno sforzo eccezionale per corrispondere – oggettivamente – alla sollecitazione di Paolo VI è stato compiuto qui in Italia nello scorso 2021, in occasione del VII centenario della morte. Nella circostanza sono state com’è noto realizzate e quantitativamente superate le previste Cinquecento Manifestazioni, delle quali molte di straordinario peso culturale. E con un’imprevista e imprevedibile partecipazione di persone, in un clima di diffusa pandemia. Aggiungo che anche all’estero (dove pure la “Commedia” si conosce e si studia) la ricorrenza del centenario non è trascorsa senza il dovuto rilievo. Oltre che nei Paesi europei e negli Stati Uniti, l’Opera dantesca è stata nuovamente tradotta e ulteriormente divulgata (udite, udite…) in vari Stati dell’Asia e particolarmente in quella Cina dove, tra l’altro, nell’anno 2011 era stata collocata nella città di Ningbo una copia della celebre statua di Piazza Santa Croce a Firenze. Auguriamoci che fra qualche tempo, “passata la festa”, la Divina Commedia non torni ad essere qual libro di difficile lettura da lasciare a professori e studiosi, ma ignorato dai piu’ e velocemente riposto dagli studenti fra gli altri testi del percorso scolastico.
Ma veniamo al titolo di questo scritto. Premesso che la Divina Commedia è letta, e se ne invoglia la lettura e lo studio, per un arricchimento culturale di chi la legge e la studia (cosa giustissima e doverosa, se è vero che da moltissimi è ritenuta la più grande opera di poesia di tutti i tempi), c’è un aspetto dell’Opera stessa che è meno considerato e costituisce, invece, la ragione del massimo interesse per numerosi pontefici. Riguarda la crescita spirituale e morale che l’approfondita lettura del Capolavoro può favorire in chi ad esso si accosta.
Con la Lettera apostolica “Candor Lucis aeternae” o “Splendore della Luce eterna” (espressione che si riferisce al Verbo di Dio) in data 25 marzo 2021, Papa Francesco riporta alcuni significativi giudizi dei papi dell’ultimo secolo sulla Divina Commedia. Apprendiamo così che, mentre nel 1921 commemorava il VI centenario della morte di Dante con un’apposita enciclica, il papa Pio X in altro scritto definiva il capolavoro dantesco “un poema quasi divino”, in cui il Fiorentino “cantò i sublimi misteri della religione”.
In data a noi più vicina, con la Lettera apostolica citata all’inizio Paolo VI individuava in questi termini la finalità intrinseca dell’Opera: “Il fine della Divina Commedia è primariamente pratico e trasformante. Non si propone solo di essere poeticamente bella e moralmente buona, ma in grado di cambiare radicalmente l’uomo e di portarlo dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell’inferno a quella beatificante del paradiso”.
E poiché oggi si parla tanto e giustamente di pace, ecco cosa riporta in proposito la stessa enciclica: “Poema della pace è la Divina Commedia: lugubre canto della pace per sempre perduta è l’Inferno, dolce canto della pace sperata è il Purgatorio, trionfale epinicio (e cioè canto corale) di pace eternamente e pienamente posseduta è il Paradiso”.
Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno spesso riproposto l’itinerario dantesco, attingendo dalla “Commedia” spunti di riflessione e di meditazione.
Per quanto attiene Papa Francesco va detto che già per i 750 anni dalla nascita del Poeta, e cioè in data 4 maggio 2015, aveva voluto onorare la sua memoria con un Messaggio al card. Gianfranco Ravasi (nella sua veste di responsabile del pontificio Consiglio della cultura). In tale messaggio aveva tra l’altro proposto di leggere il Capolavoro dantesco come “un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore e sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico”.
Il mio personale “pellegrinaggio” è che certi versi possono effettivamente avere in noi l’effetto di un vero cammino spirituale, che sfocia nel fiducioso abbandono in Dio Padre. Sentite questi, “messi in bocca” al re Manfredi, figlio di Federico II di Svevia e collocato da Dante nel Purgatorio:
“Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà divina ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei” (Purg. III, 121 – 123)”.
Sì, nella “Commedia” letta con amore troviamo spesso concetti e parole che ci toccano davvero nel profondo. Ricordo la notisssima preghiera di San Bernardo, rivolta alla Madre di Dio:
“Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che il suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura” (Par. XXXIII, 1 – 6).
Ma un analogo cammino di conversione e rinascita è possibile, con l’aiuto di Dante e come riferito, anche “nel campo sociale e storico”. Infatti, dice sempre il Messaggio, l’umanità è chiamata da Dio a lasciare quella che l’Alighieri definisce “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Par. XXII, 151) per “giungere a una nuova condizione, segnata dall’armonia, dalla pace, dalla felicità. E’ questo l’orizzonte di ogni autentico umanesimo”.
Nella ricordata Lettera apostolica “Splendor Lucis aeternae”del 25 marzo 2021 Papa Francesco si chiede poi cosa può comunicare a noi, nel nostro tempo, l’Opera di Dante. E risponde letteralmente che “in questo particolare momento storico, segnato da molte ombre, da situazioni che degradano l’umanità, da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro, la figura di Dante, profeta di speranza e testimone del desiderio umano di felicità, può ancora donarci parole ed esempi che danno slancio al nostro cammino. Può aiutarci ad avanzare con serenità e coraggio nel pellegrinaggio della vita e della fede che tutti siamo chiamati a compiere, finchè il nostro cuore non avrà trovato la vera pace e la vera gioia, finchè non arriveremo alla meta ultima di tutta l’umanità, “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (Par. XXXIII, 145). Mi piace concludere con un commento alla Divina Commedia formulato nel lontano 1837 dallo scrittore Niccolò Tommaseo, ma tuttora valido e recentemente ricordato dal cardinale Ravasi: “Leggere Dante è un dovere; rileggerlo un bisogno; gustarlo un gran segno di genio; comprendere con la mente l’immensità di quell’anima è un infallibile presagio di straordinaria grandezza”.
Paolo Venzano