Ho scritto questo titolo col sorriso perché penso che qualcuno dei miei dodici lettori, leggendolo, possa esclamare: Paolo risente ancora di qualche colpo di sole preso ad agosto! Infatti, leggendo il titolo, viene subito in mente una diversa espressione: La storia maestra di vita (Historia magistra vitae). Parliamo allora dell’ espressione del titolo, “inventata” da me (chiaramente senza la pretesa che sia molto originale…) e della seconda famosa espressione, notoriamente dovuta a Cicerone, cominciando da quest’ultima.
Io penso che quando il grande Romano scriveva che la Storia è “maestra di vita” in realtà intendesse solo formulare un auspicio. Non è infatti credibile che egli ritenesse davvero che gli uomini, nel loro complesso percorso, tendono saggiamente a imitare i comportamenti virtuosi e ad evitare gli errori di chi li ha preceduti. Mi sono ricordato della massima ciceroniana questa estate, nel pieno del mese di luglio. Era infatti la domenica 15 luglio il giorno in cui il quotidiano la Repubblica ricordava l’ottantesimo anniversario della Conferenza svoltasi dal 6 al 15 luglio del 1938 nel paese di Evian-les-Bains, sulle rive francesi del lago di Ginevra. Obiettivo della Conferenza (cui partecipavano i rappresentanti di 32 Paesi appartenenti alle Americhe e all’Oceania e quelli di nove Paesi europei, con l’Italia fascista contraria) era quello di facilitare in qualche modo l’insediamento degli Ebrei fuggiti dall’Austria e dalla Germania, dopo che quest’ultima aveva invaso e annesso la prima nel precedente mese di marzo. Nell’estate del 1938 la Shoah non era ancora iniziata, ma i presagi erano oscuri. E sappiamo che nella notte fra il 9 e il 10 novembre successivi – la famigerata “Notte dei cristalli” – in Germania, in Austria e in Cecoslovacchia si sarebbe scatenata la furia antisemita…La conclusione della Conferenza fu, sostanzialmente, un nulla di fatto.
Facciamo ora un salto di ottant’anni. E sostituiamo gli Ebrei con i migranti, il Governo italiano dell’epoca con quello giallo-verde di oggi. Se la Storia fosse realmente “maestra di vita” non succederebbe ciò che sta succedendo a proposito dei migranti, respinti dagli Stati europei come gli Ebrei di 80 anni fa. Oggigiorno sta anzi avvenendo qualcosa di peggio di allora se consideriamo che a Evian-les Bains gli Stati potenzialmente ospitanti, pur nel diniego di aprire i confini, manifestarono tuttavia un’esplicita empatia verso chi chiedeva l’ospitalità…
E’ a questo punto che possiamo rileggere il titolo di questo scritto e riflettere sull’”impatto” anche sociale della santità. In proposito gli esempi ovviamente si sprecherebbero. Prendiamone uno solo. riguardante Giorgio La Pira. In un saggio dell’anno scorso per il quarantennale della morte di La Pira il noto storico del pensiero politico Giorgio Campanini ha tirato fuori un articolo dello stesso La Pira pubblicato nel 1942 sul periodico fiorentino “Vita cristiana”. Al culmine della tragedia bellica in atto, in piena apoteosi dei totalitarismi, La Pira intravvedeva “i segni di una Storia resa sacra dall’opera della Redenzione” e scorgeva gli indizi di una “gigantesca crescita di Bene nonostante le ciclopiche opposizioni del Male” (e questo, io penso, è vivere la Speranza in modo eroico. Non per niente Giorgio La Pira è “venerabile” dal 5 luglio scorso).
Eravamo, come detto, nel 1942. Di lì a poco avrebbe avuto inizio la grande costruzione europea ad opera di altri “visionari” come lui: De Gasperi, Adenauer, Schumann, ma anche Spaak, Mansholt, Monnet, Spinelli e persino Churchill. Questi “visionari” erano infatti più numerosi di quanto comunemente si pensa e neanche tutti credenti.
Ma la lezione lapiriana più importante per l’Europa odierna, viste le sue condizioni e le sfide che l’attendono, è forse un’altra: quella di “andare oltre se stessa”. In realtà il “Sindaco santo” e gli altri “Padri fondatori” pensavano all’Europa come a un sodalizio di nazioni libere, capaci di proporsi come modello ad altri popoli in cerca di pace e di sviluppo, disposte a proiettarsi all’esterno con la pratica del dialogo e l’esclusione di chiusure e arroccamenti. Viene ovviamente in mente un’altra “lezione”, di viva attualità: quella di Papa Francesco e del suo forte impegno a portare la Chiesa, la Chiesa come comunità dei credenti, al di fuori del proprio “recinto”, verso un mondo che ha solo bisogno dell’ “Annuncio”, come quello di duemila anni fa.
Nel 1951, considerato che nella (appena nascente…) era nucleare non era a suo avviso pensabile un conflitto armato, pena la fine del mondo (pensiamo alla situazione attuale!), La Pira lanciava lo slogan: Guerra impossibile, pace inevitabile!
Oggi, mentre si affermano nuovi grandi protagonisti mondiali, stiamo a vedere quante voci si leveranno a dichiarare l’Europa non solo utile, ma indispensabile. Non tanto da salvare, ma da rilanciare. Non da tenere a bada, ma da porre in cima a qualunque obiettivo per il bene di tutti i suoi popoli. L’anno prossimo si voterà per il Parlamento di Strasburgo. Chi sceglierà lapirianamente lo slogan: nazionalismi impossibili, unità inevitabile?
Paolo Venzano