Se un politico settantenne viaggia ancora senza cravatta e con camicie da cow-boy si può scommettere che mezzo secolo fa – da giovane matricola – andava in giro con le molotov, o almeno faceva finta di averle. E se l’attempata presidente di un Soroptimist fa spesso sfoggio di una qualche frase da caserma c’è da giurare che negli anni ruggenti portava panettone e spumante ai bivaccanti di una Facoltà occupata…
E’ infatti noto che dal 1966 l’Italia conobbe un’ondata di proteste studentesche culminate nell’occupazione di sedi universitarie e nei violenti scontri con la polizia dell’anno accademico 1967-68. Il successivo intreccio con la ripresa in grande stile delle lotte operaie (“autunno caldo” del 1969), la crisi politica e istituzionale dell’epoca e l’esplosione della “strategia della tensione” resero più difficile una risposta equilibrata alle istanze della contestazione giovanile. Nel decennio seguente la storia di tale contestazione si confonde con quella dei movimenti extraparlamentari. Nonostante ciò, i suoi influssi rimasero evidenti nella mentalità e nell’esperienza di molti giovani… Ma il ’68 è un fenomeno ben più articolato e complesso. E interessante sarebbe (a 50 anni di distanza) esaminarne cause ed effetti, anche per trarne gli insegnamenti del caso (di segno diverso, s’intende). Vedremo se sarà possibile ritornare sull’argomento.
In questa circostanza io mi limiterei a dire qualcosa sul “nostro” ’68, intendendo per “nostro” il ’68 dei cattolici. Nel 1968 il Concilio era terminato da appena tre anni. Chi intendeva seguire gli insegnamenti della Chiesa si trovava dunque, da un lato, a respirare il clima conciliare e dall’altro (se giovane in qualche modo impegnato) a fronteggiare il forte vento della contestazione…
Nonostante nell’assise conciliare fosse stata ribadita un’impostazione teologica ed etica, pur con grosse novità – pensiamo solo alla riforma liturgica… – complessivamente fedele alla tradizione, come confermano le Costituzioni dogmatiche “Dei Verbum” e “Gaudium et Spes”, l’immagine che ne diedero i media fu quella di una Chiesa diversa, più “democratica”, in linea con quella critica generalizzata dell’autorità (l’antiautoritarismo) ed entro certi limiti in linea con quell’elemento ugualitario che furono alla base del pensiero sessantottino. In molti fedeli e nella società italiana questi fatti misero in discussione l’autorevolezza sino allora goduta dalla Gerarchia nell’orientare le coscienze anche in campo sociale e civile. Gli esempi più concreti arrivarono pochi anni dopo, in occasione del referendum sul divorzio del 1974 e del referendum sull’aborto del 1981, allorchè una parte dei cattolici mostrò una maggiore “comprensione” per chi sosteneva le nuove leggi appunto sul divorzio e sul’aborto (come avvenne anche da parte di alcuni gruppi di studenti aderenti alla FUCI e cioè alla Federazione degli universitari cattolici). Sul fronte opposto si registrò una più grande fermezza dei cattolici che continuavano ad accogliere l’insegnamento sociale della Chiesa (che tra l’altro aveva promulgato proprio nel 1968, per mano di Paolo VI, quell’enciclica “Humanae vitae” che sanciva l’inscindibilità nel matrimonio tra la dimensione unitiva e quella procreativa).
Un ricordo di carattere personale. Negli anni ’70 ho vissuto un periodo di contrasti , dai modi e dai toni anche “vivaci”, con chi in occasione dei ricordati “referendum” abrogativi si discostava dall’orientamento della Chiesa (in pratica, votando e suggerendo il NO). Solo con gli anni la situazione si normalizzò. Ciò a conferma che anche il mondo cattolico italiano, dopo il Concilio, ha vissuto un suo Sessantotto, un momento che ha mutato ed anche articolato le modalità di intendere il rapporto Chiesa-mondo. Il che non è affatto negativo (come attesta la successiva affermazione di un nuovo “movimentismo” fondato sulla radicalità dell’esperienza cristiana e orientato a intensificare la dimensione comunitaria).
Come sempre ha ragione Bossuet: Gli uomini si agitano e Dio li conduce!
Paolo Venzano