Non occorre l’analisi di un sociologo né l’acume di un giornalista provetto per affermare che l’ultima settimana di settembre di quest’anno 2019 passerà alla Storia. Perché la forza davvero “ciclonica” di uno strumento apparentemente inadeguato, qual è la giovane Greta Thunberg, ha irreversibilmente coscientizzato e messo in moto la gioventù di tutto il mondo, alla quale appartiene il futuro. E di conseguenza ha aperto gli occhi all’intera umanità.
Quanto sopra costituisce la vera, provvidenziale novità, di cui i successivi impegni delle Autorità competenti sono solo una piccola, anche se concreta, espressione. Parlo naturalmente dell’intesa, raggiunta da 66 Stati tra cui l’Italia, di operare efficacemente al fine di azzerare ogni emissione nociva nell’atmosfera entro l’anno 2050.
Ma i ragazzi chiedevano anche a gran voce la più puntuale applicazione dell’Accordo di Parigi del dicembre 2015, sottoscritto da 195 Paesi e che com’è noto impegna i firmatari (tra cui purtroppo non figurano grandi inquinatori quali gli USA e la Cina, mentre la Russia ha ultimamente aderito) a contenere il riscaldamento del Globo entro i due gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali (in pratica, rispetto ai livelli degli anni ’60 del Novecento), sforzandosi però di limitare l’aumento a un grado e mezzo, dato che ciò ridurrebbe notevolmente i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici.
Quanto sta avvenendo mentre scrivo (e cioè il distacco di una parte di ghiacciaio del Monte Bianco) mi suggerisce tuttavia un amaro rilievo, di cui poco si è parlato.
Benissimo per le richieste dei giovani e bene per le ricordate intese fra gli Stati. Ma, stando ai maggiori esperti in materia, lo stato dell’atmosfera è attualmente tale che, anche se improvvisamente cessasse del tutto l’emissione di gas-serra, lo scioglimento dei ghiacciai ed altri fenomeni negativi per la Terra continuerebbero egualmente per alcuni decenni, essendo questo il lasso di tempo necessario al ritorno dell’atmosfera alla sua composizione normale. Speriamo bene…
La vitale importanza dell’argomento, e la considerazione che è destinato a durare nel tempo (speriamo meno del previsto), a questo punto suggeriscono di rinfrescarci la memoria su ciò che insegna la Dottrina sociale della Chiesa – ed è soprattutto contenuto nel relativo Compendio e nella Laudato Sì, l’enciclica “sulla cura della casa comune” di Papa Francesco – in materia di rapporti dell’uomo con l’ambiente.
All’uomo e alla donna, voluti da Dio “a Sua immagine”, Dio affida la responsabilità di tutto il Creato e il compito di tutelarne l’armonia e lo sviluppo. Neppure il peccato originale elimina questo compito, pur gravando di dolore e di sofferenza la nobiltà del lavoro.
La ricordata “visione biblica” ispira (o, meglio, dovrebbe ispirare) l’atteggiamento degli uomini in relazione all’uso della Terra, nonchè allo sviluppo della scienza e della tecnica. L’ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli hanno cercato di migliorare le proprie condizioni di vita corrisponde al progetto di Dio. Ed è quindi conforme al Suo progetto anche l’applicazione di scienza e tecnica all’ambiente naturale. Tanto più che questa applicazione può contribuire a risolvere gravi problemi, a cominciare da quelli della fame e delle malattie nel mondo.
Naturalmente, ogni applicazione scientifica e tecnica non può mai prescindere dal rispetto dell’uomo, delle altre creature viventi e dell’ambiente in genere, considerando nel contempo le giusta aspettative delle generazioni future.
E’ evidente che quando invece si comporta in modo irresponsabile l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera di creazione, si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la reazione della natura, perché ne calpesta le leggi.
Nelle righe seguenti vorrei occuparmi, in particolare, dell’Amazzonia e dell’acqua dolce, come a dire di un problema di grande attualità e di un problema che è purtroppo attuale da anni.
Sappiamo tutti che, sull’Amazzonia e sui popoli che la abitano, da domenica 6 ottobre è in corso il Sinodo dei Vescovi di varie parti del mondo. Ma qui mi preme ricordare che, di questa regione di quasi otto milioni di chilometri quadrati, si occupano sia il Compendio della Dottrina sociale (al n.466 della Parte Seconda) che l’enciclica Laudato Si’ ( al n. 38 del Capitolo Primo). La regione tocca nove Stati dell’America Latina, ma la parte più grande riguarda il Brasile. E proprio il presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha ultimamente rivendicato la sovranità assoluta del suo Paese sull’Amazzonia. Ma in base a uno dei principi cardine della Dottrina sociale cristiana, il principio della destinazione universale dei beni, sotto certi aspetti l’Amazzonia appartiene all’intera umanità. In sintesi: la foresta assorbe tra uno e due miliardi di tonnellate di carbonio all’anno ( e cioè tra il 10 e il 20 per cento di CO2 – anidride carbonica totale). Ed inoltre: l’Amazzonia è cruciale come regolatore delle piogge, ospita un autentico patrimonio di specie animali e vegetali, ossia la maggiore biodiversità del Pianeta, racchiude il 20 per cento delle riserve d’acqua del mondo…In poche parole, se dovessero continuare gli incendi e il disboscamento (ora al 20 per cento) dovesse raggiungere il 40 per cento, sarebbe una catastrofe per l’intero genere umano.
Fra i beni ambientali da tutelare un rilievo particolare merita infine l’acqua, la cui carenza notoriamente incide sul benessere di un numero enorme di persone ed è spesso causa di malattie, sofferenza, povertà, conflitti e morte. Eppure anche all’acqua dovrebbe essere rigorosamente applicato il “principio della destinazione universale dei beni”. Senza l’acqua la vita è minacciata. Dunque il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile.
Da quanto sopra spero si sia compreso perché d’ora innanzi l’ambiente che ci ospita dovrebbe essere costantemente oggetto del nostro interesse, oltre che… delle nostre preghiere!
Paolo Venzano